PALERMO – Ci risiamo. Il calcio italiano scopre l’ennesima voragine di un sistema eticamente (e non solo) sull’orlo del collasso. E si concede il lusso di salire agli altari della cronaca extra sportiva in una delle oramai rare serate di gala a cui è chiamato a prendere parte, con teatro quell’impianto che avrebbe dovuto rappresentare il primo tassello di un percorso di modernizzazione per la verità mai cominciato: lo Juventus Stadium.
Durante la sfida degli ottavi di Champions League tra i bianconeri e il Borussia Dortmund, alcuni striscioni offensivi sono comparsi sugli spalti della struttura nata sulle ceneri del “Delle Alpi” e inaugurata nel 2011. Destinatari degli insulti, anche le tifoserie, e per esteso le città, di Catania e Napoli, la cui “colpa” sarebbe quella di essere gemellate con i sostenitori della squadra tedesca. “Catania m***a, Napoli colera”. In Eurovisione.
Il problema, naturalmente, non nasce né si esaurisce all’interno dell’impianto di proprietà della Juventus. Insulti, scontri e morti non conoscono latitudini. Gli assassinii di Filippo Raciti e Ciro Esposito lo ricordano. Eppure le istituzioni, sportive e non, continuano ad appellarsi all’eco sempre più debole di provvedimenti di facciata e di dichiarazioni circostanziali. Si avvicendano amministratori, dirigenti e censori, eppure il malato non riesce a trovare l’antidoto a una patologia cronica. Il sinistro avvertimento di una resa incondizionata.