PALERMO – Quasi cinque mesi di lacrime e paura, con un’unica speranza: quella di un miracolo. Per i suoi familiari l’incubo inizia il 27 dicembre scorso, quando viene travolto da un’auto a Mondello, mentre si trova a bordo della sua bicicletta. Ad investire Antonio De Francisci, 53 anni, un ventinovenne alla guida di un’auto in viale Regina Margherita di Savoia.
Da allora le condizioni di De Francisci, impiegato regionale, non sono mai migliorate. Prima ricoverato all’ospedale di Villa Sofia e poi trasferito al San Raffaele Giglio di Cefalù, è ancora in coma. “E noi non viviamo più – dice la figlia Giulia -. Io, mia madre e mio fratello preghiamo ogni giorno perché papà ce la faccia, speriamo in un miracolo, vogliamo torni a casa con noi. Quello che è successo mi ha fatto riflettere molto su quanto gli automobilisti a Palermo non rispettino i pedoni o chi va in bici, si tratta di una superficialità estrema, che rischia di fare verificare tragedie quotidianamente. Proprio come quella che ci ha travolto e che ci sta facendo soffrire come mai avremmo creduto”.
Dopo la morte di Tania Valguarnera, la ragazza di trent’anni uccisa in via Libertà domenica scorsa, la richiesta dell’omicidio stradale come reato si fa più forte anche a Palermo e Giulia chiede che provvedimenti in tal senso arrivino concretamente. “Non dovrebbe essere contestato soltanto l’omicidio, ma anche il tentato, visto che mio padre non è morto, ma noi stiamo vivendo ugualmente senza di lui con un dolore indescrivibile nel cuore. Voglio una legge che dia giustizia vera – dice -. Al ragazzo che ha fatto finire mio padre in queste condizioni non toglieranno neanche la patente, per questo voglio una legge che punisca sia gli incensurati, sia i recidivi. Chi ha ucciso Tania – prosegue – non si è fermato a soccorrerla ed era senza patente. Chi ha investito mio padre la patente l’aveva e si è fermato. Cosa cambia? In entrambi i modi si distrugge una famiglia. La legge deve essere uguale per tutti, ogni vittima è una persona preziosa per la propria famiglia, non devono esserci sconti per nessuno. Chi guida un’automobile – aggiunge Giulia De Francisci – è abbastanza consapevole di avere una pistola carica con il dito sul grilletto pronta in ogni istante”.
Suo padre aveva comprato da poco quella bicicletta, la usava per andare al lavoro e per fare qualche passeggiata. Quel giorno poco dopo Natale c’era il sole. E Antonio De Francisci stava seguendo un gruppo di ciclisti lungo il viale che conduce a Mondello. In direzione della città è successo l’imprevedibile: l’auto guidata dal ventinovenne è sbucata all’improvviso da viale Venere. L’impatto è stato violentissimo e lui, sbalzato dal sellino e scaraventato sull’asfalto, è rimasto gravemente ferito.
La corsa disperata in ospedale non è servita, purtroppo, ad evitare il peggio. Ed è così cominciata la lunga convivenza con la speranza per la famiglia De Francisci: “Ormai viviamo alla giornata – conclude Giulia – i medici non ci danno molte speranze. Non riusciamo tra l’altro a recarci ogni giorno in ospedale, andare quotidianamente a Cefalù non è semplice. Uno strazio senza fine il nostro. Vorremmo soltanto quest’incubo finisse quanto prima, vorremmo riabbracciare papà, sapere che il peggio è passato. Invece ogni giorno è un sacrificio convivere con un’ ingiustizia per la quale non sappiamo se il colpevole pagherà”.