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Io, Mutolo e Paolo| “So perché era inquieto”

Per chi ha cercato di vedere alla moviola gli ultimi giorni di vita di Paolo Borsellino, questo resta uno dei punti nodali. L'interrogatorio del pentito Gaspare Mutolo, a Roma, quattro giorni prima della strage di via D'Amelio. Borsellino è inquieto, nervoso, accende una sigaretta dietro l'altra...
Lettera aperta ad Agnese Borsellino
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Per chi ha cercato di vedere alla moviola gli ultimi giorni di vita di Paolo Borsellino, questo resta uno dei punti nodali. L’interrogatorio del pentito Gaspare Mutolo, a Roma, quattro giorni prima della strage di via D’Amelio. Borsellino è inquieto, nervoso, accende una sigaretta dietro l’altra. “Il motivo di tale inquietudine era palese e io che l’avevo assistito in tutti gli interrogatori di Mutolo ne intuì il motivo” scrive l’allora ispettore della Dia, Pippo Giordano, che ha inviato alla redazione di Livesicilia una lettera aperta per Agnese, la moglie del magistrato, dopo aver ascoltato il suo appello. In quell’interrogatorio il collaboratore di giustizia ha parlato dei contatti della mafia con l’allora numero due del Sisde (servizio segreto civile) Bruno Contrada, e con il giudice Domenico Signorino. Dichiarazioni che non sono finite a verbale perché era tardi e Paolo Borsellino aveva così dato appuntamento a Mutolo per il lunedì seguente. Che, per il giudice, non ci sarà.

LETTERA APERTA ALLA SIGNORA AGNESE BORSELLINO
Signora Agnese,

noi due non ci siamo mai incontrati e spero che presto possa accadere perché vorrei raccontarle il periodo trascorso insieme a suo marito Paolo, anche quella che fu la mattina di quell’ultimo venerdì in vita. Lei Signora Agnese ha ragione suo marito era nervosissimo, tant’è che quel venerdì nel corso dell’interrogatorio, accese una sigaretta dietro l’altra. Il motivo di tale inquietudine era palese ed io che l’avevo assistito in tutti gli interrogatori di Mutolo ne intuì il motivo. In quel periodo ero in servizio alla Dia col grado di ispettore e quando Gaspare Mutolo decise di collaborare io stesso lo portai a cospetto di suo marito. Finalmente, mi creda, stavamo aprendo alcuni ambulacri che per tanti anni erano rimasti chiusi. Per la verità poi li aprimmo ma purtroppo suo marito non poté essere presente. Io ero particolarmente interessato, così com’era suo marito, ad aprirli perché volevo dare un po’ di giustizia a tutti i miei colleghi morti per volere di Cosa Nostra: ovviamente lo feci per tutte le vittime innocenti ed in particolare per i miei amici della Mobile palermitana da Lillo Zucchetto, Ninnì Cassarà, Beppe Montana, Roberto Antiochia, Natale Mondo, per Rocco Chinnici e Giovanni Falcone.

Secondo me l’espressione che suo marito fece ” ho visto in faccia la mafia” va ricercata nella mole e soprattutto nelle nuove rivelazione che proprio Mutolo ogni giorno arricchiva le nostre conoscenze: del resto basta leggere i verbali degli interrogatori.

Signora Agnese, termino qui questa mia lettera e mi auguro che io possa, la prima volta che verrò a Palermo, se lo riterrà opportuno di farle visita. Concludo, dicendole che spesso mi sento con suo cognato Salvatore Borsellino.

Cordiali saluti
Pippo Giordano

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