C’era una bolla di sapone in via Turrisi, apparsa dal nulla. Non si vedeva un bambino, intorno, né un adulto in vena di amarcord. C’era. E basta. Uno poteva interrogarsi: da dove viene questa bolla di sapone? Non ci sono bambini moderni con le pistole laser che le sparano. Non ci sono nemmeno i bambini di ieri col marchingegno che ricordava vagamente il cerchio infuocato da cui passano tuttora i leoni al circo. Ci passavano le bolle colorate, quando una bocca infantile soffiava. Era un gesto di creazione. La schiuma si faceva luce, il sapone si faceva bolla. E un mondo nasceva. Durava fino all’angolo di un palazzo, fino alla corda dei panni stesi sul balcone, fino al vaso di gerani. Con un plop, sfioriva.
Uno poteva interrogarsi, in via Turrisi, a Palermo. Oppure seguirla in silenzio la bolla, condividendo un viaggio. L’uomo di fuori le avrebbe girato le spalle. Il ragazzo di dentro no.
Seguendola, ha visto. Sono incredibili gli scherzi che riescono a combinare le bolle di sapone, quando ti decidi a rincorrerle, qualunque sia l’eta. A poco a poco, i piedi scattano come da ragazzi. I pensieri sono da ragazzi. Gli occhi pure. Vedono cose che i grandi non notano più. Il ragazzo inseguiva la bolla di sapone. Piano piano la bolla si è fatta lente per guardarci ed accorgersi finalmente di tutto.
A piazza San Francesco di Paola un vecchio cercava qualcosa nei cassonetti. Tirava fuori vestiti di pezze, oggetti indefinibili e croste di pane. Doveva sforzarsi molto per rovistare in profondità. Era una prova ginnica. Si slanciava con le gambe, pur di dondolarsi un attimo sul bordo del cassonetto di ruggine. Come un pendolo andava su e giù. Quando andava giù, afferrava, quando un filo misterioso lo portava su, posava. Ogni dieci minuti si ritemprava dalla fatica, studiando il suo tesoro di forme strane e lordura. Gli utensili utili, i panini ammuffiti, le giacche sfondate e il resto di consumabile gli strappavano un sorriso. Né lui si curava del contorno, né il contorno si occupava di lui. Era perfettamente normale lo spettacolo di un anziano signore in acrobazia sul contenitore dell’immondizia. La gente di passaggio lo sbirciava appena, non inquadrandolo veramente. Per forza. Erano ciechi. Non avevano una bolla di sapone.
La bolla continuava per la sua strada, rischiarando le zone oscure del centro. In via Principe di Belmonte c’era un trans. Un frequentatore del bordello di piazza Croci. Ai tempi d’oro, se mai ce ne furono, lo chiamavano ‘caschetto rosso’. A un cronista, una sera, parlò con un tono cantilenante, emettendo una sentenza inappellabile: “Palermo fa schifo”. Batteva per campare, per pagarsi i seni rifatti e una plastica che la rendeva via via più mostruosa. Ma lei si preferiva così. Con un volto ridotto a mascherone. In via Principe di Belmonte, nel famoso giorno della bolla, incedeva, borbottando maledizioni col suo tono cantilenante. Gli adolescenti, in libera uscita dalla sala giochi, additavano e ridevano. Non avevano bolle di sapone a guidarli. Altrimenti, si sarebbero resi conto che dietro la struttura abnorme di una crisalide mai sbocciata, batteva la tenerezza di una farfalla.
E c’era il pianista del bar, con le dita da pistolero in attesa. Al lavoro, suona per contratto cacofonie assortite. Comincia con “Banane e lamponi”. Si lancia nel jazz, se il pubblico si distrae, però si rimette al carrello dei pezzi facili subito, con un moto di pentimento. All’una di notte, con gli avventori che ciondolano, a tavolini deserti, il pianista del bar si trasforma. Suona Mozart. Suona la parte solista del concerto numero ventuno. Suona l’adagio di Elvira Madigan, con la proprietà di un Benedetti Michelangeli giovane. Non c’è chi lo ascolti, nel dipanare bellezza. Non c’è chi lo ascolterebbe. Il pianista del bar suona solo per sé. Il suo pianoforte è una gigantesca bolla di sapone. Salpa, ogni notte, verso l’una. Si libra oltre i tetti, sopra il cielo che copre l’ultimo bicchiere.
E c’erano posteggiatori abusivi e prostitute. C’erano professionisti assorti sopra un piatto di riso con salsiccia e funghi. C’erano bambini da Disney, ragazzine che ballavano, camminando, come se volassero, ragazzoni con la faccia da bambini. Nel famoso giorno della bolla di sapone, nata chissà dove e chissà perché. Non era una brutta scena. Se davvero ti accorgi del mondo che c’è, puoi amarlo per ciò che ti va e cambiarlo per ciò che non ti va. Tutti vorremmo cambiare Palermo a parole, nessuno può cambiarla con le mani da cieco, con l’ombra dei contorni. Non si può modellare il buio.
La soluzione esiste. Basterebbe soffiare nella schiuma. Basterebbe una piccola e luminosa bolla di sapone, col suo piccolo viaggio, da qui a lì, fino alla corda dei panni stesi, fino al vaso di gerani rossi sul balcone. Lì, dove una volta abbiamo detto addio alla nostra prima felicità, con uno scoppio lieve. Plop.