CATANIA – Il cerchio si è chiuso. Sabato sera, mentre a Viagrande si lavorava agli ultimi dettagli della festa di San Mauro, i carabinieri poco prima dello scoccare della mezzanotte hanno fatto irruzione nel covo dove Andrea Nizza si nascondeva e lo hanno catturato. Un’inchiesta precisa e articolata che ha portato i militari del Nucleo Operativo di Catania a far scattare le manette al latitante più pericoloso della Sicilia Orientale. A vederlo andare via accompagnato dai carabinieri la moglie e (forse anche i figli) che per due anni e un mese hanno vissuto tra nascondigli e covi. Viagrande, ieri, era nei titoli di tutti i quotidiani nazionali. Ma ieri nella città etnea tutti erano concentrati ai festeggiamenti del patrono, tra le bancarelle e durante la processione non si sente parlare della cattura del latitante. Si sorprende un esponente della polizia municipale quando proviamo a fare qualche domanda, pare non sapere nemmeno cosa sia accaduto. I militari poi si trincerano dietro un sorriso. Eseguono le direttive del Procuratore Carmelo Zuccaro, che nonostante la cattura ormai sia di dominio pubblico, vuole conservare ogni dettaglio e particolare per la conferenza fissata per questa mattina.
Andrea Nizza ha un curriculum criminale di peso. Soprattuto se si pensa che ha appena trent’anni. A dicembre del 2014 non ha aspettato nemmeno la lettura della sentenza del processo Fiori Bianchi (condanna confermata in appello). La maxi inchiesta dei carabinieri aveva sventrato l’intero organigramma delle squadre militari dei Santapaola grazie alle parole del collaboratore Santo La Causa. E’ un periodo, la fine del 2014, di particolare fibrillazione per il gruppo di Librino. Andrea Nizza subisce un tradimento, il suo “autista” si presenta ai carabinieri ed entra nel programma di protezione dei collaboratori di giustizia. Quella stessa notte Davide Seminara mostra ai militari il luogo dove trovare l’arsenale del clan, l’arsenale di Andrea Nizza e fa nomi e cognomi dei “fiancheggiatori” del capo. Il giovane boss aveva preso in mano le redini lasciate in eredità dai fratelli Fabrizio, oggi pentito, e Daniele. Si susseguono arresti su arresti e il gruppo di Andrea con quartier generale al viale Moncada 10 viene decimato. Vengono scoperte le estorsioni, i pestaggi, ricostruiti i canali del narcotraffico con gli albanesi. Fabrizio Nizza vuota il sacco anche per alcuni delitti. E per questo Andrea trema, ha paura. Avrebbe paura soprattutto dell’accusa di omicidio. Si confida con gli uomini fidati, che adesso sono diventati pentiti. Anche loro. E il quadro si completa, inesorabile. Si aprono le indagini, i processi e arrivano le condanne. Per estorsione e armi, per traffico di droga (l’operazione Spartivento) e per omicidio. Quell’impero creato mietendo il terrore, con le incursioni dei picciotti armati di pistola per dimostrare che nonostante il fratello pentito era lui a controllare lo spaccio a San Cristoforo, Librino e San Giovanni Galermo, si è sgretolato. Aveva a disposizione i “piccioli” il latitante, l’inchiesta Carthago ha svelato gli “investimenti” del giovane padrino in varie attività e con vari imprenditori di comodo. Insomma i prestanome. Negli ultimi mesi però, lo abbiamo scritto più volte sulle colonne di queste giornale, il suo peso criminale nello scacchiere della mafia militare era diminuito. Troppi occhi puntati su di lui. I Santapaola si sono riorganizzati. Ma i Nizza continuavano ad avere la loro fetta di mercato attraverso Salvatore Nizza, detto ‘Mpapocchia. Ma anche lui è finito in gattabuia, insieme al figlio. Un’altra sconfitta che rischiava di far perdere totalmente potere, controllo e ruolo dei Nizza tra i mafiosi di Catania. Forse Andrea si è riavvicinato a Catania per tornare a “curare” gli affari personalmente. I carabinieri hanno monitorato e pedinato parenti, fedelissimi e fiancheggiatori. Il latitante potrebbe aver fatto un passo falso. Potrebbe aver lasciato una traccia che ha portato i militari dritti nel suo appartamento preso in affitto da alcuni amici, che ora sono accusati di favoreggiamento.
La mafia perde ed è giusto festeggiare. Ma non per troppo tempo. Perché i clan si riorganizzano, e quando una cosca subisce pesanti ripercussioni, le altre ne approfittano per conquistare nuovi spazi criminali. Lo avevano fatto i fratelli Nizza nel 2009 quando la polizia aveva catturato il latitante Sebastiano Lo Giudice. In una notte avevano preso possesso delle piazze di spaccio del “Carateddu”. Da oggi inizia una nuova battaglia. In attesa di un nuova vittoria dello Stato.