CATANIA – Un’intera città ai piedi di Norma: Catania rende omaggio a Bellini con l’appuntamento più atteso del Festival, mentre per le strade del centro storico le luminarie citano i versi di “Norma” o de “I Puritani”. Ieri sera “Norma” è andata in scena , con grande successo, diretta con vera sapienza da Fabrizio Maria Carminati, uno specialista del genio belliniano e con la commossa regia di Davide Livermore. Commossa perché è evidente che il regista più richiesto del momento ama sul serio quest’opera ed è tornato al momento iniziale di Norma.
Quello che abbiamo visto in scena è la prima del 26 dicembre 1831 alla Scala di Milano, nel ricordo della sua prima interprete, Madama Giuditta Pasta, ormai vecchia e vicina alla morte, che ricorda quella notte, gli applausi, ma anche l’insuccesso. Livermore narra la storia di una donna, cantante come Tosca, gelosa come lei, e al tempo stesso la parabola esistenziale di una patriota come fu realmente Giuditta Pasta. Per lei Bellini scrisse la Norma, poco più di tre anni prima di morire. Ma la Pasta continuò a cantarla fino a quando la sua voce si spezzò. In scena abbiamo un’attrice muta, Clara Galante, nel suo salotto ottocentesco, dove i quadri si riempiono di ritratti celebri, mentre le pareti diventano ora il bosco dei Druidi, ora le ombre nere del silenzio che la attanaglia, ora il fuoco rosso che anticipa la fine sul rogo per avere tradito il suo popolo e il suo ruolo di sacerdotessa.
Sui palchi dal primo al terzo ordine compare il coro in abiti ottocento, il pubblico di quella “prima”, posizionato in modo speculare con noi, gente del 2021, con la mascherina e distanziati. Un teatro della memoria per un’opera che da 200 anni continua a far discutere, riflettere, e ieri sera abbiamo ascoltato la versione frutto della revisione critica curata da Roger Parker. Per capirci un solo esempio: la preghiera “Casta Diva” che tutti i soprani, la Pasta compresa, hanno cantato in fa maggiore, ieri Marina Rebeka, un successo personale strepitoso, l’ha eseguita come Bellini l’aveva scritta, una tonalità sopra.
Livermore ci racconta la nostra storia, al coro “Guerra, guerra” sventolano le bandiere italiane e in effetti fu il vero inno del Risorgimento, mentre il salotto della Pasta vede i suoi mobili accatastati, come in una barricata, dove lei stessa andò a piantare la nostra bandiera. Tutto vero, vero e dimenticato e per Livermore a questo serve l’opera: a ricordare. Ottima prova per Adalgisa, interpretata da Annalisa Stroppa, reduce da una formidabile Carmen. Pollione è Stefan Pop, dignitoso e puntuale come del resto Dario Russo nel ruolo di Oroveso. Si replica, ma su Rai 2, in novembre