Per capire che Morena è morta, devi guardarla per cinque minuti. Altrimenti, non ti metterebbero in allarme il rossore delle guance, la linea dolce delle palpebre chiuse. E i lividi sulla fronte potrebbero sembrare sbucciature dell’infanzia, di quelle che si collezionano correndo incontro al sole. Invece, Morena è morta e pare soltanto addormentata. La vedi, speri che possa rialzarsi per consolare con un abbraccio il pianto disperato di sua madre e di suo padre. Ti accorgi che non c’è più quando, dopo cinque minuti di sguardi, lei non accenna a muoversi. Non increspa il vestitino che l’accoglie sul marmo dell’obitorio del Civico. Non starnutisce per liberare il naso pizzicato dal polline dei fiori bianchi e gialli che l’accompagnano. Morena è morta.
C’è il suo nome sul quaderno che raccoglie il viatico delle firme d’accompagnamento, sul banchetto, subito fuori dalla stanza delle salme. La separazione dei compiti è rigorosa. Al solito, è il coraggio delle donne a presidiare lo spazio consacrato al dolore. Le donne sono nella stanza con Morena che non si sveglia. Le passano una mano sulla fronte. Le sistemano l’abito della cerimonia funebre. Scacciano le prime mosche. Accolgono quelli che entrano e hanno una faccia, e poi escono con lineamenti che nessuno saprebbe riconoscere. Gli uomini stanno alla larga, a presidiare la camera mortuaria. Fumano, si raccolgono, chiacchierano a bassa voce. Piangono apertamente, senza imbarazzo. Ogni tanto fanno capolino nella stanza di Morena. Appena pochi secondi. Appena frammenti di bisbigli. La madre è accasciata in macchina. Racconta qualcosa a tutti, negli intervalli del pianto. Uno è il pensiero fisso ad alta voce. E’ il tarlo che morde, morde e non la smette più: “Non dovevo darle il permesso, ma lei voleva giocare, insisteva”. La consolano: “Che puoi farci? Si sa come sono i bambini”. La storia possibile di una tragica scampagnata di Pasquetta a San Martino si delinea. La gita, nonostante il tempo inclemente. Il pranzo. Infine, una bambina che chiede di fare un giro sul trattore con lo zio. I genitori che nicchiano, ma si sciolgono davanti a quella tenera tenacia. La passeggiata si trasforma in tragedia. Morena precipita in un dirupo pieno di fiori bianchi e gialli. Muore al Civico dopo una corsa inutile.
E’ che i desideri dei bambini sono schegge. Nessuno può intercettarli. Qualche anno fa, nello stesso marmo che ora accoglie la bimba schiantata a San Martino delle Scale, c’era un’altra ragazzina con la testa fasciata. Pure lei pareva addormentata. Nessuno avrebbe saputo cogliere la presenza di una grande ombra accanto al suo guanciale. Quella bambina era caduta dai piani alti di un palazzo, mentre rincorreva una farfalla. Si era affacciata con troppa foga. Questa bambina, Morena, è stata tradita dalla sua felicità.
Adesso c’è una terza bambina con le trecce nello spiazzo della camera mortuaria del Civico. Corre. Pesta con i piedi le piccole ombre delle persone in lacrime. Ancora non sa nulla delle grandi ombre.