Se potessimo risarcire il passato con un colore, una voce, un volto per ogni lacrima persa in questo mare, essi sarebbero il colore, la voce e il volto di questa donna. Non il semplice e naturale pianto di una madre che ripete come un mantra il nome di sua figlia, a ricordarci chi non c’è più, quanto l’eterno monito affinché queste tragedie siano davvero, maledettamente, definitivamente, anche nostre.
Le parole di Martin Schulz, al quale va comunque riconosciuto il semplice merito d’aver chinato il capo di fronte alla grandezza tutta europea di Lampedusa, si perdono al vento come i granelli di sabbia di quell’isola dei Conigli che se allunghi la mano sembra quasi di toccarla. Granelli al vento che si infrangono contro il monolite nero del pianto di questa donna. Mezzo miglio tra la vita e la morte. Mezzo miglio tra ciò che siamo e ciò che dovremmo essere. Una distanza che resterà tale se non saremo noi a coprirla. E l’impressione che se ne ricava, adesso che anche questo giorno è fuggito via, è che in un anno non ci si sia mossi neppure di un centimetro.
Lo dicono i corridoi umanitari, tanto invocati e mai attuati. Lo dice la modifica del trattato di Dublino II, tanto invocata e mai realizzata. Lo dice lo slogan di una ricerca di cooperazione internazionale tanto sospirata e mai raggiunta. Lo dice un’operazione che per quanto possa valere, non risolverà mai strutturalmente un problema che va affrontato non, semplicisticamente, con il mezzo economico, ma con l’unico, vero, strumento indispensabile ad ogni democrazia: la politica. Lo dice il pianto di questa donna, tale e quale al pianto di 12 mesi addietro. Fuori dalla finestra, in questo momento, piove. Esattamente come un anno fa.