Tappa obbligata per chiunque visiti New York è l’immenso cratere lasciato dal crollo delle Torri Gemelle l’11 settembre 2001. Chiedendo a qualsiasi cittadino della Grande Mela le indicazioni su come raggiungerlo, però, bisogna fare molta attenzione: gli americani infatti detestano la definizione “Ground Zero”. Per loro quell’indelebile cicatrice di sei ettari in piena Manhattan è “The New World Trade Center”. Non sono ammesse altre definizioni. Ground Zero è esistito, ovviamente, ma solo in quello sciagurato giorno di fine estate di dieci anni fa, per essere superato già l’alba seguente dalla voglia di rinascita. Spazzato via insieme alle macerie dei due giganti venuti giù portando con sè tutta quella gente, e ciò che essa rappresentava. Per questo The New World Trade Center sì, e Ground Zero no.
Ragionandoci un po’ su, in fondo, è anche comprensibile. Non è difficile infatti cogliere l’accezione d’immobilità racchiusa dal termine “piano terra”, “piano zero”. Ground Zero assume i connotati di un punto di riferimento, che non può e non deve mancare nell’immaginario collettivo, ma che sarebbe imperdonabile non considerare altro che un “blocco” di partenza. E’ proprio da lì che riparte la corsa di quanti quel giorno restarono incollati alla televisore, sospesi tra la volontà di risalire ciascuno la propria “skyline”, e il timore che il loro benedetto ascensore restasse inchiodato a terra.
Ma come si supera l’impasse? Solo con la memoria. Quella buona. Quella che va oltre l’11 settembre 2001: la memoria di se stessi. Ricordare cosa si stesse facendo quel giorno, la canzone alla radio interrotta dall’edizione straordinaria in diretta da New York, o il piatto di pasta lasciato marcire sulla tavola, rischia di apparire un esercizio tanto semplice quanto inutile, se nella visione di quelle terribili immagini si è perso il ricordo delle emozioni che quella stessa canzone era in grado di suscitare fino a quel momento. O il gusto di quel piatto di pasta dimenticato sul desco. La forza delle emozioni, soprattutto quelle positive, è tale da consentire il superamento di qualsiasi ostacolo. Di qualsiasi crisi, o crollo di borsa. Lo insegnano proprio le ultime parole delle persone che volarono giù dalle Twin Towers, e che prima di lanciarsi nel vuoto dicevano “ti amo” ad una moglie, o “ti voglio bene” ad un figlio. Magari è proprio questa la chiave di volta: recuperare quelli che, nel bene e nel male, sono i cocci lasciati dietro quella data. Pezzi che una volta ritrovati aiuterebbero forse a comprendere meglio la misura del nostro cambiamento.