Nello Musumeci fa il suo mestiere e minimizza l’esito del sondaggio realizzato da Keix Data for Knowledge per La Sicilia. Una rivelazione che racconta di come il gradimento del suo governo regionale è in calo e oggi lo rivoterebbe solo il 27 per cento dei siciliani. Il commento del governatore, che non risparmia una frecciata polemica a chi ha realizzato il sondaggio, si incentra sulla “fase” del suo governo, che è quella “della semina e non del raccolto”. Tutto previsto, insomma, i primi anni saranno caratterizzati dal cercare di mettere ordine al disastro, poi i frutti arriveranno. L’auspicio per la Sicilia è che abbia ragione lui. Al momento resta il malcontento di un elettorato senza più fiducia. E al di là delle valutazioni sul passo prudente del governo in questo primo anno, l’elemento forse più interessante che emerge dalla rilevazione pubblicata dal quotidiano di Catania è proprio la fotografia dell’evaporazione della fiducia dei siciliani. Non solo verso il governo – non verso il governatore, che è ancora considerato affidabile da metà dei siciliani – ma verso la politica tutta. Perché sì, il governo Musumeci si becca un brutto quattro in pagella per il suo operato. Ma molto meglio non va a chi non ha responsabilità di governo e teoricamente dovrebbe giovarsi delle difficoltà di Palazzo d’Orleans. La Sicilia, infatti, scrive che “il 69 per cento dei siciliani boccia anche le opposizioni, il cui insieme viene ‘stroncato’ dall’elettorato con un 33% fiducia ed un 31% di gradimento: il 67 non si fida neanche di chi si oppone e Musumeci ed esprime un verdetto negativo su chi dovrebbe rappresentare l’alternativa”.
Insomma, sintetizzando, i siciliani, o almeno la maggioranza dei siciliani, non si fiderebbero più di nessuno, o quasi. Un dato che in fondo non va in controtendenza rispetto a quello, che viene sistematicamente dimenticato all’indomani delle elezioni, dell’astensione. Che alle Regionali ormai assume stabilmente dimensioni mostruose. Il fatto che i siciliani non votino più dà la misura della disaffezione e della sfiducia dell’elettorato. Tanto più che le inchieste giudiziarie in giro per la Sicilia sollevano il sospetto che alcune fette di quanti ancora si recano alle urne lo facciano in un contesto di compravendita del voto.
Sfiducia è la parola chiave. Una sfiducia figlia della constatazione di come la Sicilia faccia fatica a uscire da un vortice che da anni la risucchia verso il basso. Malgrado i cambi di colore politico a Palazzo d’Orleans. Una sfiducia che è anche figlia del progressivo svelarsi, attraverso altre inchieste giudiziarie, dell’influenza invadente di gruppi di pressione che avrebbero negli ultimi vent’anni condizionato la macchina della Regione, dalla Sanità ai Rifiuti, dalle Attività produttive ai Trasporti, dalla Formazione professionale all’Energia. “Sistemi” consolidati che avrebbero o hanno fatto breccia in un Palazzo che ha sofferto prima di tutto la debolezza della politica. Una debolezza che non risparmia nessuno. Chi governa, certo, con tutte le difficoltà di farlo in un quadro disastroso. Ma anche chi sta all’opposizione. I 5 Stelle volano quando il voto assume valenza nazionale e più politica, arrancano sistematicamente quando la dimensione della contesa si restringe sui territori. Il Partito democratico subisce ceffoni da anni alle urne e non trova di meglio da fare che consumarsi in una faida interna senza esclusione di colpi in cui le due anime dei dem si accapigliano sui cavilli congressuali, mentre nel resto d’Italia alle consultazioni degli iscritti nei circoli – racconta L’Espresso – vanno a votare quattro gatti.
“Verrà la stagione del raccolto”, assicura il governatore rivendicando la scelta di governare in silenzio. Il rischio, però, è che per quel momento, la gramigna della sfiducia abbia finito di devastare il campo della politica siciliana.