PALERMO – Vito Ciancimino aveva messo le mani sulla metanizzazione dei comuni siciliani. Gli intrecci e gli affari targati don Vito si sarebbero protratti fino ai giorni nostri. Da qui il provvedimento emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.
In amministrazione giudiziaria per sei mesi passano la Gas Natural Distribuzione Italia Spa (già Nettis Impianti Spa.), con sede legale ad Acquaviva delle Fonti (Bari), la Gas Natural Vendita Italia Spa, con sede legale a San Donato (Milano), e la CRM di Curatola Alfredo & C. Snc, con sede a Crotone.
Quello del pubblico ministero Dario Scaletta è stato un lavoro lungo e complicato al termine del quale sarebbero emersi “elementi concreti per ritenere che una serie di attività poste in essere dalle società sarebbero connotate da un oggettivo significato di agevolazione delle attività di soggetti sottoposti a misure di prevenzione o comunque legati alla criminalità organizzata”.
I finanzieri palermitani indagavano su Massimo Ciancimino (indagine penale e patrimoniale) e sui fratelli Vincenzo, Gaetano e Salvatore Vito Cavallotti (la misura di prevenzione nei loro confronti proseguì nonostante gli imprenditori di Belmonte Mezzagno fossero stati assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa). E finirono per mettere gli occhi su alcuni importanti gruppi industriali “il cui management, almeno in parte – si legge nella misura del Tribunale, presieduto da Silvana Saguto – ha intrattenuto rapporti con i soggetti sottoposti a procedimento penale e alla misura di prevenzione personale e patrimoniale”. In particolare, si tratta del Gruppo “Gas Natural Italia”.
Nel 2007 la sezione Misure di prevenzione sequestrò il patrimonio di Ciancimino jr che lo amministrava, dopo la morte del padre Vito, tramite gli avvocati Giorgio Ghiron, poi deceduto, e il tributarista Gianni Lapis. Due anni prima, nel 2005, era già finita sotto sequestro la parte del gruppo gas detenuta da Lapis. Vito Ciancimino, secondo la Procura, aveva ripulito fiumi di denaro nelle società del gas che si erano aggiudicate gli appalti per la metanizzazione in diversi comuni siciliani. Società la cui amministrazione formale era stata affidata a Lapis ed Ezio Brancato, deceduto nel novembre 2002. E’ l’anno in cui gli spagnoli della Gas Natural International Sdg S.A. avevano avviato le trattative per l’acquisto del “Gruppo gas”. Secondo gli investigatori, “componenti vicini ai vertici della compagine societaria Gas Natural (la casa madre spagnola) sarebbero stati al corrente di chi fosse il reale dominus del Gruppo gas palermitano, e cioè Massimo Ciancimino”. Lo dimostrerebbe pure un’intercettazione. Il giorno precedente la stipula del contratto di vendita, 12 gennaio 2004, le cimici captarono una telefonata tra Ciancimino jr e Lapis, nella quale quest’ultimo invitava il primo a farsi promotore di alcune istanze relative al prezzo di vendita con “… il loro amministratore… quello spagnolo”.
Le trattative che portarono alla vendita furono seguite da Monia Brancato, figlia di Ezio, e si conclusero nel gennaio 2004, con la cessione del Gruppo gas palermitano agli spagnoli. La Brancato rimase comunque all’interno del Gruppo Gas Natural, almeno fino all’ottobre 2005, come consigliere di amministrazione per la Gas Natural Rigassificazione Italia S.p.a e di procuratore speciale di altre 14 imprese. “Convergenti risultanze investigative – si legge nel provvedimento – inoltre, hanno evidenziato come la contiguità a Cosa Nostra non abbia riguardato esclusivamente Ezio Brancato, ma anche la moglie, Maria D’Anna, le figlie, Monia e Antonella Brancato, e il cognato Giuseppe Italiano, i quali in forza delle loro partecipazioni azionarie nel Gruppo Gas sono stati parte attiva del processo imprenditoriale che ha portato, tra la metà degli anni ’80 e i primi anni duemila, alla realizzazione della rete di metanizzazione in Sicilia, rappresentando nel contempo interessi di natura mafiosa”.
Oggi il Tribunale ha emesso il nuovo provvedimento che si basa “sul presupposto che il ricavato della vendita del ‘Gruppo gas’ alla azienda spagnola Gas Natural International Sdg S.A., avvenuta nel gennaio 2004, debba essere considerato il frutto del reimpiego dei proventi di natura illecita”. Per quanto riguarda i Cavallotti, tra il 2012 e il dicembre scorso gli sono state sequestrate le aziende Comesi Srl ed Euro Impianti Plus Srl. La casa madre spagnola, fino al sequestro, è stata una delle maggiori committenti della Euro Impianti Plus S.r.l. Si parla di lavori per milioni di euro. Dopo il sequestro, però, Gas Natural Distribuzione Italia non ha più assegnato commesse per la costruzione e, soprattutto, la manutenzione delle proprie reti di distribuzione gas alla Euro Impianti Plus: “Successivamente all’applicazione della misura di prevenzione nei confronti della società Euro Impianti Plus, sono stati affidati esclusivamente incarichi di importo irrisorio”.
Perché, secondo l’accusa, a prenderne il posto sarebbe subentrata la Tecno Met, considerata riconducibile sempre ai Cavallotti attraverso alcuni nipoti degli imprenditori di Belmonte Mezzagno. Infine, per quando riguarda l’impresa calabrese di Curatola, nel 2006 ha concesso in sub appalto alla Euro Impianti Plus i lavori di metanizzazione per la città di Reggio Calabria all’indomani della sia costituzione. “Appare illogico come una società appena costituita – scrive il Tribunale – quindi teoricamente del tutto sconosciuta al mercato, riceva un sub-appalto di una portata economica elevata (oltre un milione di euro”.