CATANIA. Alberi mozzati, croci in fil di ferro e canne, bottiglie incendiarie, roghi di abitazioni rurali ed automobili, furti e persino colpi di arma da fuoco contro le attività commerciali. Questa la lunga carrellata di atti intimidatori di matrice mafiosa a scopo estorsivo subiti nell’arco di un decennio da commercianti, imprenditori agricoli e familiari di esponenti politici nei comuni della Valle dell’Alcantara. L’obiettivo era piegare alla volontà dei clan, tre quelli operanti nell’area stando agli atti dell’inchiesta Fiori di pesco, coloro che non volevano sottostare alla legge del “pizzo”. Sarebbe stato il clan Brunetto, articolazione della famiglia Santapaola, a predominare tra i comuni di Mojo Alcanatara, Malvagna e Roccella Valdemone, sui clan Cintorino di Calatabiano, legato alla cosca Cappello di Catania, e Laudani, con Paolo Di Mauro di Piedimonte Etneo, ‘u Prufissuri, come unico riferimento nell’area. Referente dei Santapaola nel comprensorio è, secondo gli inquirenti, Vincenzo Pino, cugino del boss Paolo Brunetto e impiegato comunale a Malvagna.
CHIUSO PER “PIZZO”. Costretto a chiudere i battenti poiché strozzato dalle richieste estorsive avanzate da più clan. Questa l’amara decisione del titolare di una fabbrica dopo l’ennesima azione intimidatoria subita nel 2012 con l’esplosione, prima, di colpi di arma da fuoco contro l’azienda ed il recapito, 15 giorni dopo, di un biglietto con una chiara richiesta di denaro. In un’intercettazione captata dai carabinieri della Compagnia di Taormina emerge tutto il disappunto per il comportamento degli esponenti del clan Brunetto, che non avrebbero tenuto conto del fatto che quell’impresa fosse già vicina ad un altro gruppo criminale. A parlare sono Giuseppe Minissale, ritenuto dagli inquirenti vicino al clan Laudani, ed il nipote Carmelo Pennisi, per propria ammissione appartenente al clan Cintorino. (Pennisi non risulta tra gli indagati dell’inchiesta Fiori di pesco).
Pippo Minissale: Dimmi una cosa…o tu pensi che io…perché pagavo le pene mi dovevo accollare per dire a te, facevo il tuo nome, o quello degli altri, no! Li dovevo pagare li pagavo, perché era di giusto, perché io avevo detto determinate cose. Avete sbagliato troppe cose! Quella persona ha chiuso una fabbrica! Perché voi altri non sapevate se quella persona stava camminando bene o male (“bonu o tintu”), perché quantomeno potevate dire…ascoltate me…intanto io ve l’ho detto dall’inizio, quando siete entrati: “ragazzi vedete che ci potrebbe essere mio nipote Carmelo…che…mi fa un regalo a me
Carmelo: (parola incomprensibile)
Pippo Minissale: Prima che gli fate qualcosa a mio nipote Carmelo, cercatemi che io vi dico sì…o no
Carmelo: benissimo
Pippo Minissale: o sbaglio…Carmelo? Invece voi altri avete iniziato ed avete fatto di testa vostra. E avete sbagliato la prima volta da lì!
Carmelo: E non hanno acchiappato nulla (“ e chiapparu branchi”), tutti
Pippo Minissale: Ad ogni modo
Carmelo: iniziando da me
Pippo Minissale: Quella persona…ha chiuso una fabbrica…
Il mancato raccordo tra clan aveva prodotto una mancanza di utilità per tutti, in termini di denaro ma anche di assunzioni.
Pippo Minissale: ma io dico: non è che si deve mettere con il culo a po…culo a ponte…perché non vuol dire che una persona ti deve dare per forza cinquecento euro al mese
Carmelo Pennisi: no…ti può dare altre cose
Pippo Minissale: perché…vedi che la cosa bella è quando ti prende due persone a lavorare, hanno lo stipendio, sono regolari e sono apposto e basta…
FURTO NON AUTORIZZATO. In un’altra occasione è il furto subito da un imprenditore “amico” a creare allarme tra i referenti locali della criminalità organizzata. Dall’azienda artigianale, specializzata nella lavorazione del ferro battuto, spariscono numerosi attrezzi e materiali in ferro e in ghisa. Un danno non indifferente per l’azienda. Dell’episodio discutono Giuseppe Minissale e Angelo Salmeri, quest’ultimo ritenuto affiliato al clan Brunetto.
Giuseppe Minissale: …ma dimmi una cosa! Lo sapevano, giusto che C. è un amico vostro?
Angelo Salmeri: oh…io non gliene ho preso…dice che gli è scomparso ferro…cose…
Giuseppe Minissale: può essere, noi ci dobbiamo capire, lo sapevano che era vostro?
Angelo Salmeri: non lo so Pippo, io gliel’ho detto, là non lo toccate, quello gli dà la luce, la no oh oh!
Giuseppe Minissale: ascolta!
Angelo Salmeri: io non lo so sicuro, perché io gli ho chiesto e loro mi hanno detto no
Giuseppe Minissale: ascolta, loro possono dire quello che vogliono, però noi altri lo sappiamo, quando questo cristiano è venuto, per ora, che era tutto calmo, e deve tornare un’altra volta questa calma! Perché mi faccio arrestare per pazzo con tutti, poi caso mai, accavallamento di voci
Angelo Salmeri: ma di la Pippo che ci vuole? 100 euro!
Giuseppe Minissale: a quello gli hanno tolto 20 anni di lavoro!
Angelo Salmeri: certo! A quello lo hanno consumato!
Per entrambi il furto dimostrerebbe la mancanza del “rispetto” reciproco che vigeva in passato.
Angelo Salmeri: qua lo sai come è finito? A questo tocco c’è quello, a quello…, minchia uno prima di andare in un posto si deve informare! O no? Se è uno che sa che non c’è nessuno, prende e ci entra, ma se c’è qualcuno…
Giuseppe Minissale: quello guarda, mi ha dato la luce a me, gli ha dato la luce a quello, gliel’ha dato pure a quelli là i “facci lorde”, dico non è che a qualcuno gliel’ha fatta negativa, o qualcuno a fine mese si è presentato, quant’è qua?
Una situazione complessiva che stava sfuggendo di mano. Minissale lamenta anche l’atteggiamento mostrato dal referente di zona del clan Brunetto, Vincenzo Pino, accusato di non aver suddiviso con gli altri esponenti locali il pizzo riscosso. Una questione che andava affrontata al più presto dai due Paoli, Brunetto e Di Mauro.
Giuseppe Minissale: Eh! Fino all’altro ieri…dice: minchia Pippo, ora poi parlano loro…Paolo con Paolo, così glielo dico