La parola mancante sulla lapide per Giorgio Boris Giuliano - Live Sicilia

La parola mancante| su quella lapide per Giuliano

Sulla lapide commemorativa del grande poliziotto non si legge la parola "mafia".
SEMAFORO RUSSO
di
2 min di lettura

A qualcuno potrà sembrare marginale quanto sto per raccontare, almeno rispetto alle preoccupazioni affatto sopite sull’emergenza sanitaria da Covid-19, alle infinite polemiche nei Palazzi della politica nazionale e regionale, alla crisi economica aggravatasi per la pandemia. Marginale rispetto al dramma di chi non riesce a ripartire dopo mesi di chiusura forzata, ai migranti che ancora muoiono in mare, al razzismo dilagante che ha scatenato per reazione le piazze del mondo, all’odio volgare e ignorante imperante sui social. In realtà ciò che vale, vale in sé e la memoria conta assai nella crescita civile di una comunità. Giudichi comunque il lettore. Casualmente, passando davanti al luogo in cui il 21 luglio del 1979 fu ucciso a Palermo con sette colpi di pistola alle spalle il vice questore Boris Giuliano, un grande poliziotto che inaugurò nuovi ed efficaci metodi investigativi nella lotta alla Mafia rintracciando i percorsi finanziari criminali, anche oltreoceano, determinati dal traffico della droga, mi sono accorto di un particolare secondo me rilevante. Non l’avevo mai notato, lo confesso. Ho alzato lo sguardo e ho letto e riletto la targa commemorativa lì appesa nel 1982 alla ricerca della matrice del delitto, niente. Forse, ho in quell’attimo pensato, tra le tante lapidi commemorative di cui Palermo e la Sicilia sono piene potremmo trovarne di altre in cui non è esplicitata la natura mafiosa dell’agguato, ed è un male. Potremmo indagare sulle ragioni, andare a cercare chi fossero i governanti dell’epoca così restii a pronunciare o a scrivere la parola “mafia”. Eppure, lo si scoprì processualmente in seguito, i mandanti dell’omicidio del vice questore furono Riina, Provenzano, Greco, Brusca, Madonia, Calò e Geraci, capi indiscussi di Cosa Nostra, e l’esecutore materiale fu Leoluca Bagarella, cognato di Riina e feroce assassino. Tutti condannati all’ergastolo. Sono trascorsi 25 anni da quella sentenza.

La lapide commemorativa

Purtroppo, lo sappiamo, il trascorrere del tempo offusca il ricordo e affievolisce le emozioni, pure in chi ha vissuto un’epoca di sangue e di lutti mentre lo Stato sembrava latitare dinanzi ai numerosi eccidi perpetrati ai danni di coraggiosi uomini delle istituzioni. E poi, è naturale, si susseguono le generazioni ed è essenziale scolpire i fatti. Ecco, io vorrei che tra 20 anni un giovane nato in questi giorni transitando sotto la lapide che ricorda il sacrificio di Boris Giuliano possa leggere la parola “mafia”. Oggi non la troverebbe. Sì, sarebbe bello che il Comune o la Questura di Palermo rimedino in qualche maniera alla mancanza. C’è tutto il tempo da qui al 21 luglio. Che senso avrebbe, mi chiedo e chiedo, la rituale cerimonia della deposizione dei fiori che avverrà tra poche settimane senza prima avere assolto a tale dovere morale? Lo dobbiamo a Giuliano, alla sua famiglia, lo dobbiamo alla verità storica, lo dobbiamo agli onesti, lo dobbiamo a quel giovane palermitano di domani che si troverà a passare sul luogo del massacro con il diritto di sapere e di capire semplicemente fissando quella fredda lastra di marmo dietro cui si cela un martirio.


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