La politica con gli 'scagghiuna': il dramma della Sicilia sta tutto qui - Live Sicilia

La politica con gli ‘scagghiuna’: il dramma della Sicilia sta tutto qui

E i giovani siciliani vanno via
L'OPINIONE
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4 min di lettura

“La politica è una cosa sporca!”. Infinite volte abbiamo sentito questa espressione. Infinite volte sicuramente è scappata dalla nostra bocca. Oppure: “I politici se ne fregano dei bisogni dei cittadini, badano al loro orticello elettorale”.

Luoghi comuni o inoppugnabili verità, specialmente mentre affoghiamo nell’immondizia e annaspiamo nella pochissima acqua che ci rimane?

È vero pure che la politica è esattamente lo specchio della realtà. Impresa, sindacati, professioni, universo della cultura e del lavoro, la stessa Chiesa sono ambiti nei quali il politico navigato cerca sponsor finanziari o voti e li trova; gratis?

Ne dubitiamo. In proposito esiste in Sicilia un consolidato convincimento: “Per fare politica bisogna avere i scagghiuna”. I ‘scagghiuna’ sono i canini.

In altri termini nell’immaginario collettivo siculo il politico, o l’aspirante tale, non deve possedere un alto profilo etico, forti ideali, una passione viva per il bene comune, no, deve piuttosto disporre di un bel paio di canini affilati, uniti a un’abbondante dose di cinismo, utili a scansare gli attacchi degli amici (nei partiti e tra alleati ci si scanna che è un piacere) e ad aggredire gli avversari senza il minimo scrupolo morale, pronti a intercettare nel frattempo la convenienza personale e del personale gruppo di supporter, magari mutando casacca ripetutamente con una disinvoltura davvero stupefacente.

Del resto, chi si lamenta della politica e dei politici spesso alle elezioni o si astiene, potenziando così il consenso d’apparato, o vota il peggio del peggio in cambio di una cortesia o della promessa di una cortesia.

Ecco la spiegazione dei fenomeni acchiappavoti a vagonate, eletti non certo perché novelli Nelson Mandela o Martin Luther King. Si tratta della sub cultura del favore, in Sicilia atavica e radicata in ogni strato sociale, che ci ha trascinato nella penosa condizione in cui ci ritroviamo.

Sottosviluppati, privi di decenti infrastrutture, divorati dall’abusivismo, vittime ogni santa estate di incendi devastanti, prossimi alla desertificazione del territorio non a causa della siccità ma per precise responsabilità dei governi regionali, di destra, centro e sinistra, che si sono succeduti negli ultimi 25 anni, alle prese con l’eterna emergenza rifiuti mai seriamente affrontata e con il terrore di dover varcare la soglia di un pronto soccorso visto lo stato pietoso in cui versa la sanità pubblica (non solo in Sicilia).

Leggiamo di roboanti conferenze stampa di chi governa la Regione Siciliana in cui si parla di parecchio denaro in gioco, elargito dallo Stato o (adesso) del Pnrr, per costruire ospedali, strade, ponti, depuratori, termovalorizzatori, per ripristinare invasi, reti idriche, per potenziare i mezzi antincendio, eccetera eccetera.

Purtroppo, però, l’esperienza suggerisce, e non mi si accusi di pessimismo qualunquista, a non credere ad alcuna di siffatte strombazzate meraviglie. Nella migliore delle ipotesi ci vorranno anni prima del completamento di un’opera, nella peggiore si ripeteranno sperperi di denaro pubblico. Tutto rimarrà, a parte qualche spot propagandistico a beneficio di noi allocchi, esattamente com’è da oltre 80 anni.

La mancanza d’acqua ad Agrigento o a Caltanissetta, per dirne una, la registriamo da decenni e decenni, la siccità non c’entra. Con gioia immensa di chi privatamente lucra sull’acqua, sui rifiuti, sulla sanità, su qualunque omissione del potere pubblico.

Normalmente in modo lecito, per carità, sebbene sarebbe preferibile che si finanziasse il pubblico, non raramente illecitamente quando si inseriscono prepotentemente mafia e corruzione. Sorge il sospetto che si lascino le cose nell’incuria per invocare poi il ricorso ai privati.

Mai una conferenza stampa in cui si annunciano risultati raggiunti. Ad esempio, eliminazione delle liste d’attesa e delle attese estenuanti nei pronto soccorso, interventi idrici strutturali, soluzione definitiva dell’emergenza rifiuti, un monitoraggio del territorio con le moderne tecnologie per prevenire abusi e incendi dolosi, riforma della pubblica amministrazione, del Corpo Forestale, eccetera eccetera.

Intanto, i nostri ragazzi scappano via e guai a trattenerli, commetteremmo un grave crimine. Come li puoi convincere a rimanere? Attraverso le citate roboanti conferenze stampa?

Pensiamo pure a chi rimane, perché non vuole o non può partire. Giovani che eccellono negli studi o nel saper fare puntualmente mortificati dall’assoluta assenza di prospettive, della concreta opportunità di offrire alla terra d’origine nuove competenze e voglia di faticare.

Si devono scontrare con una pubblica amministrazione vecchia, nei metodi, nelle procedure e nei ranghi, lenta, priva di una visione che dovrebbero coltivare la politica e le istituzioni. Invece, assistiamo ai giochi di sempre, alla lotta sulle poltrone, sugli incarichi, sui più piccoli strapuntini da dividere con una famelicità da rendere l’attempato manuale Cencelli della Prima Repubblica un innocuo cugino del manuale delle Giovani Marmotte di disneyana memoria.

Una lottizzazione feroce che uccide meriti e capacità per privilegiare l’appartenenza partitica, la scaltra gestione del bacino elettorale di chi nomina.

Ospedali, aeroporti, teatri, fondazioni liriche, partecipate, società, consigli d’amministrazione, non c’è un angolo di mondo, di vita quotidiana che sfugga alle fauci spalancate dei partiti e della politica in genere. Spartirebbero anche i condomìni con propri amministratori se potessero. Accidenti, forse ho dato loro un’idea.

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