Il dibattito, certo. L’esame di autocoscienza, come no. La politica che si guarda dentro e cerca gli anticorpi. Sì, magari. La seduta di di Sala d’Ercole, quella fortemente voluta da una parte delle opposizioni e auspicata prima anche dal nostro giornale, si è rivelata un’ennesima occasione perduta per la politica siciliana. E ci perdoneranno gli inquilini del Palazzo se ci tocca aggiungere che la cosa ci stupisce ben poco. Perché in un Paese in cui la morale è stata sostituita da anni ormai dagli avvisi di garanzia e dalle ipotesi di reato nella fase di indagini preliminari, in un’Italia che ha sostituito il codice all’etica, come osservò anni fa lucidamente Luciano Violante, è ormai quasi impossibile ragionare di temi come quello che s’affacciava a Palazzo dei Normanni senza buttarla in caciara. Ci hanno pensato, ça va sans dire, i 5 Stelle, gli honesti nel dna, tornati a fare i pierini tra i banchi, dimentichi per un attimo di quella nuova cifra “governativa” che li aveva visti negli ultimi mesi assestarsi su una linea più istituzionale. Hanno dato loro fiato alle polveri, sparando ad alzo zero su Nello Musumeci e la sua maggioranza con espressioni al limite dell’offensivo, anzi in certi casi probabilmente oltre il limite.
Sia chiaro, le critiche dei grillini agli altri partiti e a una certa disinvoltura nell’arruolare personale politico border line non sarebbero nemmeno troppo campate in aria. Ma era auspicabile che il dibattito di oggi affrontasse il tema con spirito costruttivo e non con i toni da agit-prop di chi sembra in una campagna elettorale permanente ed effettiva. Le parole pronunciate da Musumeci contro il giustizialismo sono condivisibili per quanto ci riguarda. E non è la conta degli avvisi di garanzia che misura la temperatura della questione morale, semmai piuttosto il susseguirsi costante dell’emergere di spaccati inquietanti che parlano di corruzione e permeabilità delle istituzioni ai più svariati gruppi di pressione, a prescindere delle storie dei singoli “bersagli” politici da abbattere agitando l’avviso di garanzia come un manganello.
Ma certo non si può stare immobili a guardare. Servono regole e serve soprattutto maturità nella classe dirigente. Maturità e coraggio. Il coraggio di rinunciare a qualche decina di migliaia di voti “a rischio” per mandare un segnale chiaro a centinaia di migliaia di siciliani. Ieri c’era una buona occasione per parlarne. È finita in caciara. Peccato.