Anno di grazia: 2021. Parola d’ordine: ripartenza. Opportunità: Next Generation EU, Pnrr, Recovery Plan. Eppure, mentre il mondo guarda al presente programmando il futuro, in Sicilia per mettere un palo e collegare la corrente elettrica alla propria azienda si è costretti ad attenersi a un regio decreto del 1933. Proprio così.E questo non in un’area sperduta tra le montagne, ma in una delle “cosiddette” aree industriali. Ossia quelle zone che dovrebbero già essere vocate all’impresa. Ma tant’è. I bizantinismi e quell’intricatissimo sottobosco di inefficienza, lentezza e pesantezza che permea il sistema pubblico continuano a dettare legge. E discutere soltanto della quantità di risorse a disposizione senza discutere di come poi trasformare queste risorse in crescita è argomento riservato a chi ha interesse a che tutto cambi affinché non cambi nulla.
D’altronde i numeri, come al solito, parlano chiaro. La Sicilia dal 2008 al 2019 ha fatto registrare un saldo di circa -13% di Pil, mentre la media nazionale si è attestata nello stesso periodo intorno al -3%. Siamo sicuramente meno attrattivi e indicatori come popolazione residente, occupazione, scolarizzazione, preoccupano in modo particolare. Se non siamo cresciuti e se la fiducia di imprese e famiglie è ai minimi storici, parte delle cause vanno individuate in quei “procedimenti amministrativi e funzionalità dell’azione amministrativa” che danno il titolo alla legge regionale sulla semplificazione, la n.7 del 2019, su cui i Giovani imprenditori di Confindustria Sicilia hanno tanto creduto.
A distanza di due anni dall’approvazione, chi può dire di aver beneficiato delle innovazioni introdotte da questa norma? Ci chiediamo quante volte si sia esercitato il previsto potere di sostituzione dei funzionari inerti; quanto venga rispettato il principio del silenzio-assenso e la scadenza dei termini massimi per l’esito delle procedure; quante conferenze di servizio si svolgano in modalità semplificata e telematica. Per non parlare della digitalizzazione, che garantirebbe più trasparenza e tracciabilità.
Viviamo in una regione a responsabilità limitata, anzi, limitatissima, per citare due siciliani che ci rendono orgogliosi (Colapesce e Dimartino). Capire con certezza chi è chiamato a rispondere del continuo incepparsi degli ingranaggi non è mai semplice. Per cui oggi è opportuno chiedere alla politica di farsi carico dei vuoti di responsabilità, cominciando con il monitorare lo stato di applicazione delle leggi. Iniziate subito. E fate in modo che chi fa ostruzionismo si assuma le proprie responsabilità.
Non basta fare le leggi, è necessario che si trovi il modo di farle applicare, così che gli effetti siano concretamente percepiti da imprese e cittadini. La legge è lo strumento, non il fine della politica.
Si valuti, se è il caso, l’istituzione di una commissione di vigilanza, indipendente, che abbia facoltà di valutare l’operato dei funzionari pubblici e l’applicazione delle corrette procedure. Insomma, si faccia qualcosa perché così non è più possibile andare avanti.
Nell’anno del settantacinquesimo anniversario dello Statuto, sono stati quantificati i costi dell’insularità in 6 miliardi di euro all’anno, una zavorra ingiusta da compensare. Ma chi si è chiesto quali siano i costi occulti per le aziende, causati da una burocrazia disastrosa? E quali i mancati guadagni legati agli investimenti abortiti a causa dei lacci e lacciuoli dei pubblici uffici?
Siamo letteralmente fermi al palo. Prospettiamo il rilancio con il Pnrr e le grandi opere, ma ci teniamo i regi decreti e le prassi disfunzionali. Vogliamo ancora una volta disegnare l’abito più ricco e affascinante per la nostra Sicilia, dimenticando che prima bisogna risanarne il corpo e l’anima?
*L’autore è presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria Sicilia