Il quattro marzo. Tutte le Anna che avrebbero voluto morire e tutti i Marco che avrebbero voluto andarsene lontano e che poi un giorno sono tornati tenendosi per mano. Quelli che non hanno paura di donarsi a chi parla un’altra lingua, però sa amare. Quelli che, accortisi di essere stati traditi, hanno urlato: “Ti hanno visto bere a una fontana che non ero io”. Quelli che cadendo hanno pensato che anche gli angeli si sporcano. Quelli che escono presto la mattina con la testa piena di pensieri e, dopo aver scansato macchine e giornali, tornano a casa. Ché tanto oggi è come ieri.
Quelli che una volta l’anno, dopo aver fatto il trenino, alzano un bicchiere sognando che sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno ma sapendo benissimo che l’anno nuovo tra un anno passerà. Quelli che affacciandosi dalle sbarre delle loro celle, quelle vere e quelle virtuali, vedono il mare ed una casa bianca in mezzo al blu. Quelli che, poggiando la mano su una pancia o cantando una ninna-nanna, si sono chiesti: “e chissà come sarà lui domani, su quali strade camminerà, cosa avrà nelle sue mani”. Quelli che, dopo una vita passata a belare in un gregge, sognano di morire in Piazza Grande tra i gatti senza padrone.
Quelli che, guardando gli occhi di chi se ne va, si scambiano come ultimo regalo l’acqua di una lacrima d’addio. Le lacrime di chi ti ama sono molto più che qualche goccia d’acqua e sale. Amico mio, poeta della mia giovinezza, grazie per le emozioni che mi hai donato. E’ solo un anno, ma tu sei sempre qui