PALERMO – “L’Amministrazione ha mostrato una eccezionale pervicacia a procedere disciplinarmente nei confronti del proprio dipendente, facendo seguire con una scansione logica precisa gli atti utili ad addivenire alla irrogazione delle sanzioni, le quali poi hanno costituito la base per il successivo provvedimento di destituzione, al quale sembra invero essere stata preordinata l’intera azione amministrativa”. Così scrivono i giudici della seconda sezione del Tar di Palermo nell’annullare tutti i provvedimenti presi dalla Polizia di Stato (si scrive così, ma si legge meglio “Viminale”) contro il vicequestore Gioacchino Genchi. Preordinata è la parola chiave per comprendere il “Caso Genchi”. Quella raffica di provvedimenti disciplinari, ben 11 in stretta sequenza temporale tra il 2009 e il 2011, era un miscuglio letale creato ad arte per distruggere ciò che è più sacro e inviolabile per un uomo delle istituzioni: la reputazione. L’onta della destituzione, procedura che in Italia non è stata comminata neanche agli agenti coinvolti nel caso della Diaz, avrebbe dovuto sancire la “morte sociale” del super investigatore, il primo uomo dello Stato a mettere mano a computer e telefoni, studiandoli e analizzandoli, per offrire agli inquirenti quella necessaria arma strategica per scoprire verità su mafia, politica e affari. Ma il Tar ha cancellato tutto.
Ora, indossa la toga da avvocato. Non la rivedremo più in divisa? Che valore ha questa sentenza?
Fosse solo per un giorno, prima del collocamento in pensione, che ho già maturato, per effetto dell’annullamento delle sospensioni e della destituzione dal servizio. La mia massima aspirazione, comunque, rimane quella di reindossare l’uniforme di Funzionario della Polizia di Stato e rendere omaggio, in divisa, alla tomba di quei magistrati e di quei poliziotti con cui ho lavorato e che ho visto morire. Loro attendono ancora giustizia da questo Stato ed io ho pagato anche per questo.
La procedura che portò alla sua destituzione inizia nel 2009. Sbagliamo o è nello stesso periodo in cui le vengono revocate le deleghe per le inchieste su politica, mafia e affari in Calabria ?
Esatto. Un’esperienza che voglio dimenticare in cui ho visto toccare il minimo etico alle Istituzioni dello Stato, compresa la magistratura, che avevo servito per tanti anni.
Il contesto di quella vicenda non sembra il racconto di uno Stato che ha paura di vedere svelate delle scomode verità? Più d’una volta ha sostenuto che il termine “antimafia” andrebbe cancellato. Ci spiega perché?
Perché il termine antimafia è stato usato ed abusato solo per favorire depistaggi, vendere fumo e favorire carriere di politici e magistrati che hanno usato “l’antimafia’ solo come scudo per coprire la loro insipienza, la loro povertà culturale e taluni pure la loro disonestà.
In fondo lei ha avuto il merito di mettere tutta la politica d’accordo almeno per un po’ Berlusconi, parlando del suo caso, disse che stava per scoppiare il più grande scandalo della Repubblica. Di quel periodo ricordo un coro unanime. Aveva tutto il mondo politico contro. Ma cosa aveva scoperto di così terribile da far tremare i palazzi della Politica?
Mi consola solo il ricordo del constatare la fine che hanno fatto tutti i cantori del coro, da Berlusconi a Gasparri, da Mastella a Prodi, da Rutelli a Cicchitto, da Fede a Jannuzzi e a Capezzone, per non parlare dei soggetti più squallidi che hanno lavorato dietro le quinte e che ora leggeranno questo articolo in carcere.
Lei ha detto che le uniche indagini che non ha concluso sono quella per la Strage di Via d’Amelio e i fascicoli lavorati insieme al pm De Magistris. Ha trovato punti di contatto?
Tantissimi e in entrambi i casi, oltre ai depistaggi, alle collusioni istituzionali e alle corruzioni all’interno della magistratura, mi sono dovuto scontrare con quello che ritengo sia il peggiore tarlo della magistratura, diffuso anche fra tanti magistrati onesti. Il pensare, come diceva Giovanni Falcone, “di avere vinto il concorso per Dio”.
Non è la prima volta che lo Stato ha provato a fermarla. In principio c’è la vicenda delle agende elettroniche di Giovanni Falcone. Lei le ha analizzate e ha predisposto una perizia precisa. Le verranno revocati incarichi e le sarà proposto un trasferimento al Nord. La volevano mettere sotto scorta ma lei ha rinunciato.
“Si, ho sempre rinunciato a scorte e protezioni. Nei periodi più difficili, quando è stato accertato che stavano organizzando un attentato al mio studio, ricordo ancora l’affetto di quei poliziotti con cui lavoravo che la notte, senza alcun straordinario, si scambiavano il turno di vigilanza con le loro macchine sotto casa mia e che di giorno non mi consentivano di camminare mai da solo”.
Gioacchino Genchi era un investigatore del gruppo Falcone Borsellino, guidato da Arnaldo La Barbera. Lasciò quel gruppo, sbattendo la porta. Poi quelle indagini finirono nelle mani del Ros. Ora sappiamo con ragionevole certezza che le prime indagini vennero viziate da depistaggi. Secondo lei perché?
Provi a chiederlo alla dottoressa Boccassini, che con quelli del Ros ha sempre avuto un rapporto privilegiato e particolare.
In una delle sue ultime dichiarazioni ha iscritto il periodo delle Stragi del ’92 in un contesto geopolitico, legando quegli episodi alla caduta del Muro di Berlino, del Patto di Varsavia. E’ una sua sensazione maturata nel tempo o ci sono dati specifici che ha valutato?
Tantissimi. Giovanni Falcone muore innanzitutto perché gli Stati Uniti, dopo la vittoria di Bush, avevano impresso una nuova rotta ai rapporti internazionali con l’Europa, decretando la fine della Prima Repubblica e con essa di Andreotti, Craxi e tutta la nomenclatura.Grazie alle loro malefatte non è stato difficile farli fuori ad un pool di magistrati che si erano abilmente organizzati. Però le chiedo: la corruzione dei politici è iniziata con mani pulite o c’era già da molto tempo prima? E poi il delitto di corruzione e di concussione era previsto dal nostro codice penale già dagli anni 30. Lei pensa che lo abbiano inventato nel 1992?