Le accuse ai catanesi di Lapis |La difesa: "Nessun indizio" - Live Sicilia

Le accuse ai catanesi di Lapis |La difesa: “Nessun indizio”

La maxi inchiesta sui presunti affari di Gianni Lapis ha coinvolto anche due catanesi: gli imprenditori Francesco Terranova e Giovanni Sottosanti. Ecco tutte le ipotesi della magistratura e la replica dei legali di Terranova, gli avvocati Enzo Musco e Francesco Navarria: "La nuova inchiesta è un duplicato dell'operazione già eseguita tempo addietro".

l'inchiesta della magistratura
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CATANIA – Francesco Terranova e Giovanni Sottosanti, sono i due “catanesi” inseriti insieme ad altre 36 persone, nell’elenco di nomi finiti al centro dell’ordinanza firmata dal Gip Guglielmo Nicastro. Presunti faccendieri, mediatori finanziari, un magistrato del Tar del Lazio ma anche un dipendente della Regione Siciliana indagati per associazione a delinquere e riciclaggio internazionale. L’inchiesta condotta dalla Procura di Palermo ha smascherato una rete di colletti bianchi che secondo gli inquirenti riciclava dollari americani, franchi svizzeri, wond coreani ma anche preziosi lingotti d’oro. Al vertice dell’organizzazione quella che sarebbe ritenuta la vera e propria mente, l’avvocato cassazionista Gianni Lapis, in passato legato al sindaco mafioso di Palermo Don Vito Ciancimino.

Il nome di Terranova, originario di Sant’Agata li Battiati (CT), era stato già inserito in un’indagine risalente al 2011, di cui quest’ultima è una sorta di prolungamento. L’uomo si sarebbe adoperato in un’attività mirata al riciclaggio tramite intermediazione finanziaria che sarebbe riuscita ad eludere il sistema di tracciabilità dei circuiti bancari. Fiumi di banconote da scambiare e tonnellate di lingotti d’oro per un’inchiesta transnazionale che coinvolge non solo l’Italia ma anche Francia, Svizzera, Repubblica Ceca e Ghana.

L’obiettivo finale, si legge nell’ordinanza, era quello di “importare e commerciare ingenti quantitativi d’oro nel territorio nazionale”. Un’operazione impossibile da portare a termine nel rispetto delle leggi poiché sia Terranova che gli altri non risultavano iscritti nell’apposito elenco che la Banca d’Italia redige per gli “operatori professionali in oro”.

Terranova avrebbe preso parte agli incontri con il presunto capo dell’organizzazione, l’ex docente di diritto tributario all’Università di Palermo, Gianni Lapis. Insieme a Salvatore Amormino e Nino Zangari, Terranova avrebbe riferito dell’esito delle trattative, tramite telefonate e una fitta rete di messaggi e-mail. Oltre all’importazione dell’oro estratto in Ghana, trasformato in preziosi lingotti d’oro da depositare in Svizzera e Olanda, il gruppo avrebbe tentato uno scambio in euro di ingenti quantitativi di denaro. 60 milioni di dollari americani e una somma imprecisata di franchi svizzeri da dover cambiare nel controvalore in euro ridotto del 15% rispetto al valore ufficiale di cambio. La percentuale, secondo gli inquirenti, doveva successivamente essere divisa con precisione: il 10% era lo sconto riservato al compratore e il restante 5% come compenso per il mediatore delle operazioni.

Le banconote con gli “occhi a mandorla”. Nella rete del gruppo non ci sarebbero stati soltanto dollari americani e franchi svizzeri ma anche i won della Repubblica democratica Popolare di Corea. Le banconote, che dal 1947 sostituiscono lo yen, dovevano essere secondo gli inquirenti l’oggetto di uno scambio da effettuare fuori dai circuiti bancari legali. L’altro “catanese” Giovanni Sottosanti, originario del comune calatino di Ramacca, si sarebbe accordato con uno degli indagati, Francesco Monti per “ostacolare l’identificazione delle provenienza delittuosa di 10 milioni di Won aventi un valore di 3.619.856 euro”. Ad interessarsi, secondo gli inquirenti, agli scambi della moneta coreana in Euro sarebbe stato anche Terranova. Un quantitativo di 11.475.000 Won aventi un valore nominale di 3.825.000 euro, sarebbe finito al centro di un tentativo di scambio non riuscito per l’intervento della polizia giudiziaria.

Ad inserirsi come un “cavallo di Troia” nel circuito internazionale di intermediari e faccendieri risultando determinante per le indagine è stato l’agente sotto copertura identificato con il nome in codice di Luca Di Lauro. L’Ufficiale della Guardia di Finanza si propose come mandatario di un gruppo criminale operante nel napoletano simulando la disponibilità di decine di milioni di euro in contanti da scambiare con partite di denaro estero.

LA REPLICA

Il Gip presso il Tribunale Palermo ha accolto l’istanza dei difensori di Franco Terranova Enzo Musco e Francesco Navarria, sostituendo la misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. Per il Gip infatti, secondo quanto spiegano i legali a LivesiciliaCatania, “non esistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, come previsto dal c.p.p. nei casi di persone sopra i 70 anni”.

Gli stessi difensori hanno già depositato avverso l’ordinanza ricorso al Tribunale del riesame sostenendo che la nuova inchiesta sarebbe un duplicato dell’operazione già eseguita tempo addietro.

“Terranova e alcuni degli altri indagati -spiega Navarria- erano stati raggiunti da altra ordinanza emessa dallo stesso Tribunale già nel novembre 2011; da allora erano state revocate tutte le misure nei confronti di Terranova, per ultimo il Tribunale di Roma nel maggio 2012 aveva rivelato“che le esigenze cautelari erano venute meno a seguito del completamento delle indagini e del corretto comportamento dell’indagato”.

“La nuova ordinanza di due giorni fa -insiste il legale- pone a fondamento delle esigenze cautelari intercettazioni telefoniche antecedenti il 2011, non aggiungendo quindi nulla in più di quanto dedotto o deducibile con la precedente ordinanza del 2011. Anche per questi motivi –concludono i difensori di Terranova- confidiamo in una revoca definitiva della misura da parte del Tribunale del Riesame di Palermo”.



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