“Dichiarazioni e intercettazioni che non assumono, in mancanza di fatti nuovi, la dignità di prove processuali anche se sullo sfondo sembra esserci un “patto illecito con l’organizzazione mafiosa”. E’ lo ‘snodo’ attorno al quale ruota l’inchiesta sul presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, secondo quanto emerge dagli atti depositati dalla Dda al Gip Luigi Barone che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per 48 indagati dell’inchiesta Iblis. Anche gli stessi pentiti che ne parlano, scrivono i pm, “riferiscono in maniera laconica e sobria” sulle “poche notizie acquisite, per fortuito caso”, sul governatore.
“Notizie frammentarie – osservano i magistrati – e non poteva essere così visto il ruolo non apicale dei dichiaranti, che sono però tutti convergenti nell’individuare in Raffaele Lombardo e nel fratello Angelo soggetti che avevano stretto un patto illecito con l’organizzazione mafiosa”. L’aspetto giuridico verte sulla configurazione del reato di concorso esterno all’associazione mafiosa che la giurisprudenza, dopo la sentenza della Cassazione sul processo a Calogero Mannino, preveda sia basato su “prove certe e concretamente apprezzabili sul presunto sostegno politico-elettorale a Cosa Nostra”. Non basta avere preso i voti, chiesti o meno, alla mafia, ma deve essere provato che il favore sia stato ricambiato con benefici certi per l’organizzazione criminale. Agli atti dell’inchiesta però manca la “prova” del contatto diretto tra Lombardo e gli esponenti di Cosa nostra, che avevano delle “aspettative” dal Governatore, come le ha definite il procuratore Enzo D’Agata (nella foto), che non sono maturate. Lo stesso geologo Giovanni Barbagallo, che per l’accusa era la ‘cerniera’ tra Cosa nostra, imprenditori e politica, nell’interrogatorio di ieri ha ammesso di conoscere il capo provinciale della mafia di Catania, Enzo Aiello, ma ha aggiunto che Angelo Lombardo, che aveva incontrato, era all’oscuro dei suoi rapporti con il boss.
Anche i pentiti che parlano di Lombardo, citati agli atti dell’inchiesta, parlano de relato. Francesco Ercole Iacona, uomo d’onore di Cosa nostra Nissena, dice di avere saputo da un altro affiliato gelese, Maurizio La Rosa, che il presidente Lombardo “appoggiava” la loro organizzazione per “avere appalti nel Nisseno”. La Rosa racconta ai magistrati di avere appreso le notizie da un’altra persona, Salvatore Seminara, che gli aveva riferito di avere partecipato a “una riunione con alcuni suoi amici, alla quale era presente anche Lombardo”. L’ultimo pentito a verbale, Eugenio Sturiale, rivela di avere appreso da un affiliato della cosca Ercolano, Carmelo Santocono, che Angelo Lombardo “qualche tempo dopo le elezioni regionali del 2008 era stato sonoramente bastonato perché dopo avere sollecitato i voti dell’associazione Santapaola, promettendo agevolazioni di varia natura, non aveva mantenuto fede agli impegni presi”.