L'omicidio di Concetta Conigliaro | Nuovi indizi contro Caltagirone - Live Sicilia

L’omicidio di Concetta Conigliaro | Nuovi indizi contro Caltagirone

Antonino Caltagirone resta in carcere con l'accusa di avere partecipato alla distruzione del cadavere di Concetta Conigliaro, scomparsa il 9 aprile scorso a San Giuseppe Jato. Per il Tribunale del Riesame sussistono i gravi indizi di colpevolezza.

La decisione del Riesame
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PALERMO – Un nuovo indizio complica la sua posizione. Antonino Caltagirone resta in carcere con l’accusa di avere partecipato alla distruzione del cadavere di Concetta Conigliaro, scomparsa il 9 aprile scorso a San Giuseppe Jato. Il Tribunale del Riesame ha detto no alla scarcerazione di Antonino Caltagirone, 32 anni, originario di Partinico, perché sussistono i gravi indizi di colpevolezza. Per l’omicidio della ragazza era finito in cella il marito, Salvatore Maniscalco. Poi, ad inizio ottobre è scattata la misura cautelare per Antonino Caltagirone e il padre Vincenzo (a cui sono stati concessi i domiciliari).

Il cadavere di Concetta sarebbe stato bruciato all’interno di un fusto utilizzato per impastare la calce. Nel magazzino dove sono stati rinvenuti i resti umani c’era un bidone di plastica con del liquido infiammabile. Si tratta di benzina agricola quasi tutta dello stesso tipo di quella trovata in casa dei Caltagirone. Un nuovo indizio, dunque, a carico di Antonino Caltagirone che si aggiunge agli altri finora raccolti dai carabinieri di Monreale, coordinati dai pubblici ministeri Gianluca De Leo e Ilaria De Somma.

I Caltagirone, infatti, sarebbero stati “traditi” da alcune testimonianze e dalle intercettazioni. “Non ne usciamo più noialtri”, dicevano padre e figlio temendo le pesanti conseguenze giudiziarie poi verificatesi con l’arresto. Sono entrambi parenti di Maniscalco e proprietari del magazzino dove era nascosto il fusto dentro il quale sarebbe stato bruciato il corpo di Concetta. Le indagini sul loro conto sono partite proprio dal fusto. I Caltagirone erano stati visti mentre aiutavano Maniscalco a sgomberare la casa di via Crispi, a San Giuseppe Jato. In particolare, avevano lanciato dal balcone di casa, privo di ringhiera, un fusto in ferro, caricato sul camion. Si tratta del camion visto non lontano dal luogo dove Maniscalco ha indicato ai carabinieri di avere distrutto il cadavere.

I militari hanno quindi estratto i tabulati dei due indagati che il 9 e 10 aprile avevano avuto una sfilza di contatti con Maniscalco. Contatti che il Gip Lorenzo Matassa aveva definito “stranamente numerosi rispetto alle abitudini degli interlocutori e possono ragionevolmente trovare una spiegazione nella richiesta di aiuto, e nella concreta organizzazione dello stesso, da parte del Maniscalco e rivolta ai Caltagirone per l’attività di distruzione e occultamento del cadavere”.

Ma sono state soprattutto le intercettazioni ad avere inguaiato i Caltagirone. Il 26 giugno 2014 i due parlavano di un trasporto eseguito per conto di Maniscalco. Erano appena stati convocati dai carabinieri. Vincenzo: “Ma chi glielo disse che gli facemmo un viaggio noi? Cantò lui che gli facemmo il viaggio noi?”. Antonio: “Ca certo, io non gliel’ho potuto dire”. Vincenzo: “Cornuto che è inutile, minchia… può morire là dentro”. Antonino: “Minchia sono scannaliato nelle cose. Da ora in avanti, prima che carichiamo una cosa… ma che c’è dentro? A passare i guai non ci vuole niente”.

Secondo i pm, stavano parlando del corpo della ragazza, anche se lo avrebbero scoperto in un secondo momento. Poi, discutevano del rischio che i carabinieri trovassero le loro tracce sul fusto. “… per questo ti dico alle volte, non toccare niente, non toccare niente, tu hai la mania che tocchi sempre tutte cose. Ha di bisogno… perché non muore.. per me buttare sangue dal cuore”.

Il 9 luglio padre e figlio concordavano la versione da rendere ai carabinieri che li avevano convocati per interrogarli. “Non ti impappinare, stai attento a quello che combini perché siamo nella merda”. “Tu gli devi dire noi altri a lui l’abbiamo preso qualche giornata e basta non sappiamo niente”. “Minchia Dio ci scanza, i guai passiamo tutta la vita in galera ci buttano”. “Prima devono essere sicuri, lo deve dichiarare lui con la sua bocca, perché fino a là ci vado e gli tolgo gli occhi là dentro”. E Antonino concludeva: “La mia vita è finita”.

Sono tutti elementi che hanno convinto il Riesame a respingere la richiesta di scarcerazione di Caltagirone che, secondo la difesa, non era a conoscenza del macabro contenuto del fusto. Anche perché nel frattempo si è aggiunto l’accertamento sul gasolio. In attesa di conoscere gli esiti degli esami sui resti umani trovati nel fusto. Le fiamme, però, potrebbero rendere impossibile arrivare all’identificazione della persona a cui appartenevano.


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