Lucia va e Saro resta. Una beffa.
Lucia Borsellino andrà, dunque, via dalla Sicilia, in esilio, lontano da una patria che le ha inflitto immani cicatrici. Rosario Crocetta rimane qui, assiso sul suo scranno di Palazzo d’Orleans. Amara morale per questa terra.
La figlia di Paolo abbandona il campo. Scompare all’orizzonte – col suo bilancio di ragioni rivendicate e di errori commessi – nella testimonianza, comunque, di una sconfitta dell’impegno, di una ‘fuga’ sofferta, ma necessaria. Perché – come ha ricordato suo fratello Manfredi, davanti al presidente Mattarella -: “Non credevo che la figlia più grande di mio padre, colei con cui viveva in simbiosi e dialogava anche solo con lo sguardo, dopo ventitré anni dovesse vivere un calvario simile al suo e nella stessa terra che lo ha elevato suo malgrado eroe”. Eppure è successo, al termine di una via crucis coronata da opportune dimissioni. Inopportuno era il contesto che ha reso l’epilogo inevitabile.
Saro, invece, è al suo posto – ben saldo – e ha ridotto la politica a una macchietta: un cabaret che non muove nemmeno al sorriso o alla rivolta. Nessuno ha più il coraggio di alzare la voce. Nessuno trova la forza di ribellarsi. Non ce n’è uno che levi il suo grido verso il PDC, il Partito del Chissenefrega; il Pd che osserva Lucia con la valigia pronta, Rosario con lo scettro in mano. E, appunto, se ne frega di Lucia che va e di Saro che resta, dopo averne utilizzato il cognome, spremendolo fino all’ultima goccia.
Parte, Lucia, per approdare a Roma, all’Agenas. Non parte, Saro. Restano, con lui, tutte le contraddizioni in catalogo. Non si schiarisce la palude della Sanità che interpella, politicamente e a fondo, il governatore.
Sarà la magistratura a occuparsi di eventuali reati e delle inchieste in corso, ma i nodi cruciali non hanno fin qui trovato risposta. Lo stesso ex assessore Borsellino ha alluso al ‘pozzo nero’ di un settore martoriato con la sua lettera di dimissioni. Il commiato è stato esplicito: “Fin dal primo giorno ho avuto ben chiaro che nei miei confronti c’era un clima di ostilità e di diffidenza. Accadevano cose alle mie spalle delle quali il presidente non mi ha detto (…) Ho deciso di interrompere questa esperienza definitivamente quando ho avvertito la grande distanza che vi era tra me e le reazioni pubblicamente rese dal presidente di fronte all’arresto del dottor Tutino, volte a minimizzare quanto accaduto”.
Rosario Crocetta ha davvero difeso “la sua Lucia” dall’arroganza di certi appetiti, oppure l’ha mollata? Qual è stato, se c’è stato, il peso del cosiddetto ‘cerchio magico’ – come lo raccontano le intercettazioni – nell’isolamento della figlia di Paolo e nel borsino di carriere e nomine? Che cos’è – a prescindere dal codice e da chi indagherà – il ‘caso Tutino’, la nota vicenda del medico personale del governatore, nelle sue correlazioni politiche? La Sanità siciliana somiglia a una somma di perdizioni. E’ squalificata nel giudizio dei pazienti, screditata nella sua moralità. Un bubbone mai intaccato, purulento, per il presidente, il governo, la sua maggioranza e l’indifferente Pd che spera di avere suturato la ferita, mettendo una toppa, con la nomina di Baldo Gucciardi.
Proprio Gucciardi – una persona perbene, secondo l’opinione generale – pecca di coerenza e logica quando dichiara: “La mia azione ricalcherà al millimetro la linea che Lucia Borsellino ha portato avanti fino al giorno delle sue dimissioni”. Ma davvero? E come potrebbe riuscire Baldo, dove Lucia ha fallito, se il sistema è tale e quale, se i suoi grovigli politici risultano ancora insoluti?
Un’amarissima morale se ne trae. Questa terra non è dei Borsellino: né di Lucia, né di Manfredi, come non è mai stata di Paolo. Ora è un palcoscenico tutto per Saro. Il teatrino delle sue marionette e delle sue vanità.