PALERMO – Terreni, case, ma anche attività commerciali: questi sono i beni materiali che la criminalità organizzata sottrae ala collettività per finanziare il proprio circuito malavitoso. Una volta confiscate, però, queste risorse rischiano spesso di finire nel dimenticatoio. Da qui l’importanza di restituire il prima possibile questi beni alla società civile ed affidarli alla gestione di professionisti, per bonificare l’attività e conservare i posti di lavoro. E’ stato questo il tema principale dibattuto nell’arco della tavola rotonda “Beni confiscati: una risorsa per creare lavoro”, che ha aperto la seconda giornata del Festival del Lavoro, al teatro Massimo di Palermo.
A presentare le principali modifiche che interverranno a seguito dell’approvazione del disegno di legge sulla gestione dei beni confiscati c’era il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri. “Molte aziende che erano in mano alla mafia agivano e prosperavano fuori mercato – ha spiegato -, con lavoratori in nero e luoghi di lavoro non in regola. Per queste ragioni, il primo effetto di quando si interviene con la confisca e si costringe l’azienda ad iniziare ad operare all’interno del tracciato normativo, è che questa non ha la capacità di reggere la concorrenza e fallisce. Nel disegno di legge le principali modifiche all’attuale normativa riguardano la rotazione degli affidatari del bene confiscato e la riforma dell’Agenzia nazionale per la Gestione dei Beni confiscati, che passerà dal modello attuale, nazionale ed in mano ai tribunali, a quello di settori specializzati su base provinciale che si occuperanno solo di questo ambito. Tutto questo è fondamentale – ha concluso Ferri – poiché urge sburocratizzare il processo di riassegnazione dei beni, perché quasi tutti quelli confiscati non possono attendere tempi lunghi di stasi prima di tornare operativi: basti pensare che solo il 3,8 percento dei beni confiscati, dall’introduzione della legge Rognoni-La Torre nel 1982 ad oggi, è stato riassegnato”.
Umberto Postiglione, ex prefetto di Palermo e direttore dell’Agenzia nazionale per la Gestione dei beni confiscati alla mafia, nel corso di un lungo intervento alla tavola rotonda, ha spiegato bene cosa funzioni e cosa non vada nel processo di gestione e riaffida mento dei beni confiscati. “I dati che vengono spesso forniti dai ministeri sul numero dei beni sequestrati e confiscati alle criminalità organizzate in Italia sono assolutamente incerti, perché riguardano la storia e non la stretta attualità, perché conteggiano all’interno delle oltre 10mila aziende confiscate qualsiasi tipo di attività, comprese le agenzie personali gestite da una sola persona e che, nel momento in cui questa viene arrestata, vengono a morire con la sua incarcerazione”.
“Inoltre, va tenuto presente che solo il 30 per cento dei beni sequestrati finiscono effettivamente in confisca. Si sente poi spesso dire che sia colpa di amministratori giudiziari incapaci, se le aziende confiscate falliscono: questa è una falsità, perché anche il più bravo amministratore giudiziario, di fronte ad una situazione in cui non ha i mezzi per gestire l’azienda sequestrata, perché vengono interrotti i flussi di denaro ed i mutui, iniziano i controlli, si iniziano a pagare le tasse, non può fare i miracoli e tenerla aperta. Altra grande tematica – ha sottolineato Postiglione – è quella degli edifici ad uso abitativo sequestrati: a Palermo ci sono circa tremila appartamenti confiscati, sparsi per tutta la città, così da evitare il classico effetto lager dei rioni popolari abbandonati e senza servizi, che non danno futuro ai bambini che li abitano, che si è deciso insieme al sindaco Orlando di utilizzare come case popolari, grazie ad un finanziamento da 18 milioni di euro ricevuto per riadattarle a questo scopo. Basta lavorare seriamente e con un fine ben chiaro in testa – ha concluso Postiglione –, che non può che essere quello del restituire i beni alla società civile: mediamente, nei primi tre anni di gestione, l’Agenzia ha restituito poche centinaia di beni, mentre nell’ultimo anno di mia direzione sono stati oltre 3.800, e non per mio semplice merito, ma per una visione utilitaristica e sociale del bene”.