Mafia a Catania, tutto da rifare in appello al processo dei “Tuppi” - Live Sicilia

Mafia a Catania, tutto da rifare in appello al processo dei “Tuppi”

Due giudici su tre si sono dichiarati incompatibili
IL CLAN ALLA SBARRA
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CATANIA. Tutto da rifare nel processo d’appello al clan dei “tuppi” di Misterbianco. Due giudici su tre si dichiarano incompatibili e la palla passa al presidente della prima sezione Pennisi, che dovrà fissare tutto da capo. Potrebbero passare alcune settimane.

Chi sono i “Tuppi”

Alla sbarra ci sono gli eredi mafiosi di Mario “u Tuppu”, al secolo Mario Nicotra, un boss rimasto vittima nel 1989 della faida che ha contrapposto la sua famiglia con quella di Giuseppe Pulvirenti, detto “u Malpassotu”. I giudici hanno già definito alcune fasi processuali dell’inchiesta, o si sono occupati dello stralcio definito con rito abbreviato. Per questo la loro partecipazione al processo ora è impossibile.

La sentenza

Gli imputati sono presunti capi o soldati, o solo meri “avvicinati”, del clan Nicotra. La sentenza di primo grado fu emessa l’anno scorso in primo grado dalla quarta sezione penale del Tribunale di Catania, presieduta dal giudice Paolo Corda. Furono condanne pesanti, emesse al termine di un processo che si è svolto all’aula bunker del carcere di Bicocca.

Il presunto boss

Tra i condannati alla sbarra c’è pure il presunto boss Gaetano Nicotra, oggi settantaduenne, difeso dagli avvocati Salvatore Vitale e Vittorio Basile. È ritenuto colui che avrebbe ottenuto il rientro in paese degli esponenti del clan dopo la faida con il “malpassotu”. Questo grazie a un accordo con i Mazzei, uno dei gruppi più fidati dei capi della mafia catanese, ovvero il clan Santapaola-Ercolano. Nicotra ha preso in primo grado 20 anni.

Il “braccio operativo”

Vi è poi Antonio Nicotra detto “Tony”, cinquantaseienne che è figlio dell’ucciso Mario Nicotra. È difeso dagli avvocati Mario Brancato e Giuseppe Grasso. È ritenuto una sorta di braccio operativo del clan. In primo grado ha preso 22 anni. E Nino Rivilli, cinquantunenne, difeso dall’avvocato Francesco Antille, ritenuto un elemento di spicco del clan, che prese in primo grado 26 anni.

L’operazione Gisella

Sono loro i tre nomi più importanti. Il clan fu decapitato con la cosiddetta “operazione Gisella”. Gli altri condannati in primo grado erano stati il quarantaquattrenne Gaetano Nicotra, che ha preso 14 anni, quanti Carmelo Guglielmino. Poi Lucia Palmeri, 12 anni; Gaetano Indelicato, 6 anni 6 mesi; Francesco Spampinato 3 anni 6 mesi.

Le pene minori

E, ancora, Emanuele Parisi, Saverio Monteleone, Vincenzo Di Pasquale e Luca Destro, che hanno preso 2 anni. Giuseppe Piro e Alfio La Spina hanno preso 3 anni. Gianfranco Carpino ha preso 7 anni; Antonio Zuccarello, 6 anni.

I difensori

Il collegio dei difensori è composto anche dagli avvocati Giuseppe Rapisarda, Roberta Castorina, Salvatore Leotta, Francesco Silluzzio, Giuseppe Ragazzo, Mario Ragonese, Walter Rapisarda, Giuseppe Ivo Russo, Monica Seminara. In primo grado, in aula, sono stati riconosciuti dei risarcimenti al Comune di Misterbianco e all’associazione Alfredo Agosta, entrambe parti civili.


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