PALERMO – Fine gennaio 2015. Un uomo in sella ad uno scooter raggiunge un’agenzia di pompe funebri nei presi di corso dei Mille. Quell’uomo è Claudio D’Amore, arrestato nel blitz antimafia di Brancaccio.
Ha un compito da assolvere. Un compito delicato nelle logiche di Cosa nostra. Deve incontrare Fabio Luigi Scimò, uomo d’onore della famiglia di corso dei Mille, scarcerato dopo un lungo periodo di detenzione. Secondo gli investigatori, D’Amore è stato incaricato da Pietro Tagliavia, considerato il reggente del mandamento, per fare sentire a Scimò la vicinanza del clan.
E D’Amore si mette a disposizione: “Se tu hai bisogno di me, nel mio piccolo… dice… personale… siamo rimasti a piedi… di notte… mi chiami… quando vuoi venite a casa… con tua moglie… sali e vi prendete un caffè… perché lo sai… il bene che ti sei sentito con lui…”. Le parole di D’Amore sono intervallate dalle riposte di Scimò: “Che Piero lo sa”; “Ma vedi che già lo so”.
Una vicenda che archivierebbe le voci che circolavano sul conto di Scimò. A parlare di lui era stato il pentito dell’Acquasanta, Vito Galatolo, il quale disse che “prima del mio arresto era in corso l’idea di commettere l’omicidio in danno di Fabio Scimò, uomo d’onore di Corso dei Mille, e di tale Salvatore Sorrentino di Pagliarelli. Quest’ultimo in particolare era ritenuto il traditore dei rotoliani”.