Boss e gregari dei clan di Palermo | Condanna definitiva per 37 imputati - Live Sicilia

Boss e gregari dei clan di Palermo | Condanna definitiva per 37 imputati

Gaetano Maranzano e Cosimo Michele Sciarabba

Il processo riguardava le famiglie mafiose dei rioni Noce, Cruillas e Altarello. LE FOTO

La sentenza della Cassazione
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PALERMO – La condanna è definitiva. Dopo la sentenza della Cassazione alcuni dei 37 imputati sono stati arrestati. O meglio hanno lasciato la detenzione domiciliare per raggiungere la cella. È la sorte toccata a Carlo e Tommaso Castagna, colpevoli di estorsione ai danni della casa di produzione cinematografica “Magnolia”.

LE FOTO DEI CONDANNATI

Regge, dunque, in tutti e tre gradi di giudizio l’inchiesta che nell’ottobre del 2012 sfociò nel blitz della Sezione Criminalità Organizzata della Squadra mobile di Palermo. Finivano in carcere boss, vecchi e nuovi, e gregari delle cosche della Noce, di Cruillas e di Altarello.

Il mandamento sarebbe stato retto da Fabio Chiovaro. Era lui l’uomo che dettava gli ordini, mentre Picone era il supervisore. Chiovaro, finito in carcere nell’ottobre del 2010, era stato costretto a farsi da parte fino a maggio del 2011. Una volta tornato in libertà dovette mettere a tacere gli scissionisti. Un gruppo di ribelli, approfittando della sua assenza, aveva provato a scalzarlo. E si erano meritati l’appellativo di stiddari, come la frangia attiva nel Nisseno. A guidarli era Salvatore Seidita. Ne facevano parte Giuseppe Sammaritano, Umberto Maltese e Antonino Bonura. La mappa del potere degli investigatori piazzava Gaetano Maranzano alla guida della famiglia di Cruillas, coadiuvato da Domenico Spica. Ad Altarello, invece, le redini erano in mano a Vincenzo Tumminia.

Lunga la scia dei reati contestati, tipici del repertorio di Cosa nostra: associazione mafiosa, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, intestazione fittizia di beni, possesso ed uso illegale di armi da fuoco.

Cambiava la mappa del potere, ma l’imposizione del pizzo restava una costante per vecchi e nuovi boss. Tanti, troppi commercianti e imprenditori continuavano a pagare. Alcuni, però, trovarono la forza di denunciare. Ad esempio, i vertici della Magnolia fiction. I boss erano andati a imporre la messa a posto persino sul set dello sceneggiato “I Segreti dell’acqua” con Riccardo Scamarcio.

Questi gli imputati e le pene definitive: Fabio Chiovaro (14 anni e 6 mesi), Tommaso Tognetti (11 anni e sei mesi), Felisiano Tognetti (10 anni), Francesco Picone (21 anni e 8 mesi in continuazione con una precedente condanna), Salvatore Seidita (12 anni), Vincenzo Tumminia (11 anni), Gaetano Maranzano (12 anni), Cosimo Michele Sciarabba (8 anni), Domenico Spica (8 anni e 6 mesi), Giuseppe Sammaritano (8 anni e 10 mesi), Santino Chiovaro (8 anni e quattro mesi), Santo Pitarresi (5 anni e 9 mesi), Girolamo Albanese (5 anni e 9 mesi), Nicolò Giacomo Sciarratta (8 anni e 6 mesi), Giovanni Guddo (8 anni e 6 mesi), Carlo Castagna (12 anni e 2 mesi), Tommaso Castagna (8 anni e 8 mesi), Gaetano Castagna (8 anni e otto mesi), Antonio Giuseppe Enea (8 anni), Giuseppe Di Benedetto (5 anni), Saverio D’Amico (6 anni e sei mesi), Umberto Maltese (8 anni e 6 mesi), Antonino Bonura (8 anni), Gaspare Bonura (9 anni e 2 mesi), Giovanni Matina (10 anni), Renzo Lo Nigro (10 anni e 6 mesi), Marcello Argento (9 anni), Giuseppe Bonura (4 anni e 4 mesi ), Giuseppa Mirabella (2 anni), Umberto Sammaritano (1 anno e 8 mesi), Vincenzo Acone (2 anni), Vincenzo Toscano (1 anno e otto mesi), Giacomo Abbate (1 anno e 8 mesi), Alessandro Guddo (1 anno 8 mesi), Salvatore D’Amico (1 anno e 8 mesi), Vincenzo Landolina (2 anni).

Sorpresa fra i difensori per la raffica di inammissibilità decise dalla Cassazione. C’è anche chi valuta di ricorrere alla Corte europea per i diritti dell’uomo.

In appello erano stati assolti Giovanni Seidita, difeso dall’avvocato Maurilio panci (in primo grado era stato condannato a sei anni per mafia) e Dario Giunta, assistito da Concetta Rubino (1 anno e 8 mesi in primo grado per intestazione fittizia di beni). La loro assoluzione non era stata impugnata.


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