CATANIA – Salvatore Navanteri aveva approfittato dell’arresto nel 2012 di Michele D’Avola per fare la scalata e diventare il reggente del Clan. I suoi sogni di gloria, però, erano arrivati all’orecchio dei fedelissimi del “capo” dietro le sbarre che avevano deciso di farlo fuori. L’otto agosto scorso, però, qualcosa va storto e l’agguato, a Francofonte, contro Salvatore Navanteri fallisce. I tre colpi di fucile calibro 12 raggiungono l’indagato all’occhio, determinando diversi problemi alla funzionalità visiva. Il tentato delitto è l’ulteriore prova secondo gli inquirenti di una spaccatura all’interno del Clan Navanteri, organizzazione operativa nei territori di Vizzini e Francofonte e vicina, secondo gli inquirenti, a “Cosa Nostra catanese”. Spaccatura che sarebbe culminata anche con diversi omicidi e un caso di ‘lupara bianca’, che “però al momento – ha riferito il Procuratore di Catania, Giovanni Salvi – non sono contestati nel provvedimento, in quanto non ci sono elementi probatori”.
I fatti di sangue. Il 3 marzo scorso a Mineo viene ritrovato il cadavere carbonizzato di Michele Ragusa, scomparso da novembre 2012. Vizzini è il teatro di due omicidi: Signorino Foto è ucciso il 9 marzo, mentre il 13 marzo Gregorio Busacca. Il sei luglio scorso è denunciata la scomparsa di Michele Coppoletta. Ed è proprio quest’ultimo il caso di lupara bianca a cui fanno riferimento i pm della Dda di Catania,Vinciguerra e Ursino.
L’aspirante capo cosca e i suoi adepti decidono di vendicarsi. Dalle intercettazioni e dalla delicata attività investigativa i Carabinieri in pochi mesi riescono a raccogliere elementi probatori di un certo rilievo che cristallizzano il momento di forte fibrillazione nel Clan, con una parte della cosca che aveva accettato il potere di Salvatore Navanteri, mentre un’altra frangia era rimasta fedelissima a D’Avola.
Questa mattina, all’alba, è scattata l’operazione della Direzione Distrettuale Antimafia etnea chiamata Ciclope. I carabinieri hanno eseguito un provvedimento tra le province di Catania, Siracusa, Agrigento e Cremona nei confronti di nove persone accusate di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di armi con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare il sodalizio d’appartenenza.. I nove fermati sono: Antonino Alfieri, Alfio Centocinque, Salvatore Guzzardi, Salvatore Navanteri, Cristian Nazionale, Luciano Nazionale, Michele Ponte, Luisa Regazzoli e Tommaso Vito Vaina.
La consorteria mafiosa, legata storicamente a Cosa Nostra catanese, era ben organizzata con una struttura verticistica che secondo quanto ricostruito dagli inquirenti aveva a capo Navanteri, Vaina e Alfieri quali luogo tenenti mentre Centocingue era il gestore della “cassa comune” che si avvaleva della collaborazione di Nazionale e Ponte, quest’ultimo uomo di fiducia della famiglia. Aveva un ruolo anche organizzativo la moglie di Navanteri, Luisa Regazzioli, che non solo conosceva le attività interne del clan ma ne era fattiva protagonista nella pianificazione delle azioni criminali.
Gli ultimi due fermati Guzzardi e Nazionale sono invece ritenuti dai Carabinieri i sicari che hanno tentato di ammazzare Navanteri ad Agosto.
Assicurando alla giustizia queste nove persone, i militari hanno fermato sul nascere quella che poteva trasformarsi – secondo la Procura – in una sanguinaria guerra di mafia. ”Temevamo omicidi e fughe degli indagati “- ha affermato il procuratore capo Giovanni Salvi, spiegando il perché della richiesta del provvedimento d’urgenza insieme al sostituto Raffaella Vinciguerra. Il comandante provinciale dei carabinieri, il col. Alessandro Casarsa, ha sottolineato come “dalle indagini dei militari dell’Arma era emersa l’ipotesi reale di una ritorsione” con una “esemplare risposta armata” al tentativo di omicidio di Salvatore Navanteri. Tesi che sarebbe confermata anche dal ritrovamento di una pistola cal. 7,65, oltre a 10 chili di marijuana, durante le perquisizioni compiute la notte scorsa.