LEONFORTE (ENNA) – Altro duro colpo a Cosa Nostra in Sicilia. La squadra mobile di Enna nell’ambito di una operazione antimafia denominata “Homo Novus”, coordinata dalla Dda di Caltanissetta, ha arrestato otto persone di Leonforte che avrebbero assunto il controllo del territorio e riorganizzato le estorsioni nell’ennese. L’operazione ha visto impegnati un centinaio di poliziotti della questura di Enna e rinforzi del reparto mobile di Palermo. Le accuse contestate sono associazione a delinquere di stampo mafioso, tentativi di estorsioni a imprenditori e commercianti, un furto aggravato seguito da tentativo di estorsione, il cosiddetto “cavallo di ritorno”. I reati sono aggravati dall’essere stati compiuti con il metodo mafioso e per favorire Cosa nostra”. La Dda ha dovuto stringere i tempi perché le attività estorsive erano in corso e le vittime sottoposte a intimidazioni.
Questi i nomi degli arrestati. Le manette sono finite ai polsi di Giovanni Fiorenza, detto anche “Zio Giovanni” o “Sacchinedda”, 54 anni, e i figli Alex, “Lo stilista”, 31 anni, e Saimon , “Il bufalo”, 29 anni; Mario Armerio, “Mario l’olandese”, residente in Olanda, di fatto domiciliato a Leonforte, 57 anni; Giuseppe Viviano, “Pippo u catanisi” o “Il memorato”, 53 anni; Nicola Guiso, “Dario” o “Il lupo”, 38 anni; Gaetano Cocuzza, 26 anni; e Angelo Monsù, 43 anni.
Secondo gli investigatori il rappresentante della nuova famiglia di Cosa Nostra a Leonforte sarebbe Giovanni Fiorenza, pregiudicato per associazione mafiosa ed estorsione, rappresentante della storica famiglia di Enna legata a Gaetano Leonardo. Fiorenza è anche cognato del noto Rosario Mauceri, che sconta una condanna all’ergastolo per il reato di associazione mafiosa e duplice omicidio aggravato.
Questa la ricostruzione dei fatti. Fiorenza nell’agosto scorso avrebbe partecipato ad un summit durante il quale ha ricevuto, da un esponente di vertice di Cosa Nostra che si occupa del territorio della provincia di Enna, l’autorizzazione ad operare nell’area che va dal comune di Nicosia fino alla zona Dittaino, zona ambìta anche dalla criminalità organizzata catanese. Una legittimazione che puntava sul racket delle estorsioni, accolta con soddisfazione tra gli affiliati che avrebbero così comandato sui catanesi e sui palermitani.
Oltre al controllo attraverso le estorsioni delle attività economiche lecite, il clan si muoveva per controllare anche le attività illecite che si perpetravano fuori dal controllo della neonata organizzazione. Un soggetto con precedenti di polizia è stato prima “invitato” a mettersi a disposizione della “famiglia” e comunque ad operare solo dopo avere ricevuto l’autorizzazione della stessa. In un episodio l’uomo è stato però malmenato perché non si sarebbe adeguato ai consigli che gli erano stati ‘suggeriti’. Nel programma criminale della nuova famiglia di Leonforte c’era anche il controllo sulle attività elettorali e l’interesse, in particolare, in occasione delle elezioni amministrative per il consiglio comunale di Assoro.
Un clan tradizionale. Regole e usanze tipiche della mafia caratterizzavano la nuova famiglia stroncata nell’ambito dell’operazione ‘Homo Novus’. Nel corso delle indagini è stato accertato che alcuni degli indagati venivano ritualmente battezzati e a ciascuno di loro veniva assegnato un nome di battaglia. Così c’era “il lupo”, “lo stilista”, “il sapiente”. All’interno del gruppo veniva esaltato il valore formativo del carcere in occasione dell’arresto e delle conseguente carcerazione – durata pochi giorni – di Saimon e Alez Fiorenza. Ad uno dei due un anziano del clan ha detto “il carcere l’avrebbe reso più forte e più furbo”.
Una famiglia che andava difesa “a torto o a ragione”. Tante le dichiarazioni rilevate dagli inquirenti che sottolineano essere state “dal tenore quasi terroristico”. Emerge infatti che un affiliato esortava un altro a capire che loro “avevano dichiarato guerra allo Stato, per vedere chi era più forte e più furbo”.
In un episodio si esaltava l’attentato perpetrato nello scorso mese di Aprile davanti a Palazzo Chigi e si chiedeva, facendo riferimento al carabiniere Giuseppe Giangrande, ferito pochi giorni prima, se “quel bastardo cui hanno sparato non fosse ancora morto”.
In un’altra conversazione – “quel bastardo… soffrendo come un porco” – un affiliato si compiaceva della morte di Andrea Manganaro, già Dirigente del Commissariato di Leonforte – della cui tragica scomparsa decorre il decennale – avvenuta a causa di un incidente di caccia.
L’attività estorsiva. Fiorenza sosteneva che “devono pagare tutti anche se poco, è meglio non esagerare”, affermando inoltre che era inutile rivolgersi commercianti troppo piccoli tra i quali vigeva una diffusa omertà. La filosofia mafiosa era sostanzialmente quella legata a Gaetano Leonardo.
In uno dei casi la richiesta estorsiva non veniva formulata in modo esplicito ma si faceva sapere che se c’erano problemi era possibile rivolgersi allo “zio Giovanni” e quindi venivano perpetrati dei danneggiamenti per indurre la vittima a rivolgersi spontaneamente al capo famiglia. In altri episodi la vittima veniva avvicinata direttamente ed invitata a “mettersi in regola”, senza far ricorso a minacce esplicite. Ai commercianti ed imprenditori si presentavano come i nuovi uomini del controllo sul territorio e quindi era a loro doveva essere pagata la “tradizionale messa a posto”, la “tassa” mafiosa su tutte le attività economiche. La strategia adottata era quella del ‘cavallo di ritorno’.
Il numero uno di Cosa Nostra a Leonforte tentava di affermare il suo controllo del territorio anche attraverso una spiccia amministrazione della giustizia ed una informale composizione delle controversie “civili”. In un’occasione, infatti, Nicola Guiso, successivamente affiliato, armato di un’accetta minacciava un vicino di casa senza aver prima chiesto ed ottenuto il permesso da zio Giovanni. Per questo era stato costretto a scusarsi più volte per la mancanza posta in essere.