Cronaca

Mafia ennese e sconti di pena: ipotesi “concordato” NOMI

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21 Marzo 2023, 19:08

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LEONFORTE. Potrebbero arrivare in Corte d’appello a Caltanissetta clamorosi sconti di pena per alcuni imputati del processo Caput Silente, che vede alla sbarra esponenti e avvicinati del clan leonfortese di Cosa Nostra. È l’effetto del cosiddetto “concordato”, a cui lavorerebbero da giorni alcuni difensori e che potrebbe ottenere il risultato di tagliare, letteralmente, un terzo delle pene inflitte in primo grado ad alcuni dei 18 imputati, ridimensionando una sentenza che era stata un’autentica stangata per la mafia del posto, salutata con soddisfazione dalle associazioni antiracket. La notizia per il momento è ufficiosa e circola sotto forma di indiscrezione, da ambienti vicini ad alcuni difensori. Sta di fatto che domani, in aula, l’udienza in programma potrebbe slittare per ragioni tecniche, ma alla prossima tutto potrebbe concludersi piuttosto rapidamente, proprio con il concordato, una sorta di accordo tra accusa e difesa.

In primo grado, come detto, le condanne erano state pesantissime per quasi tutti gli imputati, ma soprattutto per coloro che vengono ritenuti dagli investigatori i responsabili del tentativo di rimettere in piedi il clan locale di Cosa Nostra, un gruppo criminale spregiudicato che gli agenti del Commissariato di Leonforte avevano messo fuori gioco in meno di sei mesi, grazie alla precedente inchiesta Homo Novus, determinando ruoli e persino “nomi d’arte” che si erano dati tra di loro i condannati. Del reato di associazione mafiosa adesso rispondono in cinque, tutti ritenuti responsabili in primo grado del reato di essere appartenenti o vicini al clan di Leonforte, anche se in quel periodo (tra il febbraio del 2017 e l’aprile del 2019) il boss Giovanni Fiorenza detto “sacchinedda”, che in questi giorni si trova a piede libero, era detenuto e lontano da Leonforte, tant’è che con questa indagine lui non c’entra nulla.

Tra i cinque condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso c’erano però i suoi due figli: 11 anni 2 mesi e 20 giorni erano stati inflitti al quarantenne Alex Fiorenza, detto “u stilista”, 11 anni 1 mese 10 giorni al fratello Saimon, detto “u bufalu”, oggi trentottenne. Entrambi, va detto, sono già stati giudicati mafiosi in via definitiva nella precedente inchiesta, che coinvolse – solo in quell’occasione, poi non è più stato coinvolto nei fatti successivi– anche il padre boss. Ma le pene più alte in assoluto al processo di primo grado Caput Silente erano andate al trentaseienne Gaetano Cocuzza, che prese 19 anni e 10 mesi di reclusione, e al cinquantatreenne Salvatore Mauceri, che in primo grado ha preso 18 anni 11 mesi e 10 giorni. Cocuzza era già stato condannato al processo Homo Novus, dunque in via definitiva, ma lì lo accusarono solo di tentata estorsione, non di associazione mafiosa. Salvatore Mauceri è un fratello di Rosario, vecchio referente del clan di Enna che sconta un ergastolo per il duplice omicidio Musica-Valenti (giugno 1999) e che si trova da anni in prigione, il quale ovviamente con c’entra nulla con le storie avvenute dopo il suo arresto.

I due Fiorenza, Mauceri e Cocuzza vengono ritenuti in primo grado responsabili di associazione mafiosa, al pari di Natale Cammarata, il quinto per cui era ipotizzata questa accusa, a cui erano stati inflitti in primo grado 15 anni e 4 mesi. Tra gli imputati c’è pure un vecchio mafioso di Enna, Salvatore La Delia (storico uomo di fiducia del padrino di Enna Gaetano Leonardo, detto “Tano ‘u liuni”), che avrebbe chiesto il pizzo a un imprenditore leonfortese sugli appalti in alcune scuole di Enna e Piazza Armerina. A La Delia il gup ha inflitto una condanna a 4 anni e 8 mesi di reclusione per tentata estorsione.

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Gli altri condannati per cui si va in appello, alcuni dei quali potrebbero ottenere importanti sconti per effetto del concordato, sono i leonfortesi Antonino Calì, ventisettenne, che prese 9 anni 2 mesi e 20 giorni; il quarantasettenne Nicola Guiso detto “Dario u lupu”, che prese 10 anni; il ventottenne Antonino Lo Grande, condannato in primo grado a 9 anni 10 mesi; il venticinquenne Salvatore Piccione, che era stato condannato a 9 anni 4 mesi, e il ventottenne Pietro Piccione, 9 anni 2 mesi e 20 giorni; il quarantasettenne Umberto Pirronitto, 4 anni 8 mesi; il trentenne Francesco Trovato, 9 anni 2 mesi 20 giorni; il trentunenne Salvatore Virzì, 10 anni; il trentasettenne Salvatore Ilardi, 6 anni e 6 mesi; poi tre catanesi, ovvero il trentunenne Angelo Costanzo, 7 anni 6 mesi, il quarantottenne Alfio Nicolosi, 10 anni e 4 mesi, il cinquantaquattrenne Mario Pastura 7 anni 6 mesi.

Potrebbe chiudersi, insomma, sempre con importanti condanne, ma sensibilmente inferiori al primo grado, il processo seguito alla brillante inchiesta del Commissariato di Leonforte e della Squadra Mobile di Enna, che due anni fa hanno stroncato il secondo tentativo di ricostruzione mafiosa in paese, ordito per l’appunto dai due fratelli Fiorenza con l’aiuto di Cocuzza, Mauceri e altre persone del posto. Va evidenziato che domani in aula sarà parte civile, tra le altre, oltre all’associazione Fai Leonforte, anche il Comune di Leonforte. Proprio ieri mattina al Comune è stato deliberato il conferimento d’incarico all’avvocato Diego Librizzi. “Una scelta di legalità che il nostro Comune ha intrapreso già da tempo – afferma il sindaco Carmelo Barbera -. Diciamo no alla mafia e non abbiamo mai avuto alcuna remora a costituirci parte civile contro i clan locali, schierandoci con forza dalla parte dello Stato e dalla parte delle vittime”. L’accusa in primo grado è stata coordinata dai pubblici ministeri Santi Roberto Condorelli, procuratore aggiunto di Caltanissetta, e Claudia Pasciuti.

Tra le accuse, vi è la gravissima minaccia ai danni di un imprenditore leonfortese, per cui sono stati condannati in primo grado Alex Fiorenza e Cocuzza. Quest’ultimo si sarebbe anche esposto in prima persona, presentandosi dalla vittima e dicendo: “Tanti saluti dagli amici. Gli devi dire qualcosa?”. E la richiesta sarebbe stata pazzesca: 200 mila euro entro una settimana o la cartuccia inesplosa calibro 38 special che gli era già stata recapitata, la volta dopo, l’avrebbe “testata” suo figlio. Così era scritto in un biglietto anonimo. Peccato per loro che l’imprenditore non chinò il capo, ma piuttosto si presentò alla polizia e denunciò tutto. Nel frattempo, peraltro, Cocuzza si era già messo nei guai con la droga ed era finito in carcere per spaccio. “U stilista”, che di questa richiesta di pizzo viene ritenuto il mandante, dal canto suo due anni fa era rimasto libero per poco tempo, prima di essere raggiunto dalla nuova ordinanza e ritornare in cella. Cocuzza è stato condannato anche per la tentata estorsione ai danni di un barista. Assieme a Salvatore Mauceri, poi, avrebbe chiesto il pizzo, tra il 2017 e il 2019, al titolare di una ditta che montava il luna park in paese. Assieme a Pirronitto, infine, avrebbe chiesto soldi a due giovani autori di un furto. Pure i ladri, insomma, secondo Cocuzza si dovevano “mettere a posto” pagando una percentuale sul bottino.

Le accuse legate al traffico di droga, invece, riguardano dieci dei condannati. Cocuzza, Mauceri, Nicolosi, i due fratelli Piccione, Trovato, Calì, Guiso, Lo Grande e Virzì, secondo l’accusa, si sarebbero associati tra loro per distribuire, in vari momenti e a vario titolo tra il 2017 e il 2019, cocaina, marijuana e hashish a Leonforte. Il catanese Nicolosi sarebbe stato il corriere della droga per le forniture di hashish: si sarebbe rifornito a Catania e avrebbe consegnato il fumo direttamente a Cocuzza o Mauceri, da marzo 2018 a febbraio 2019. I catanesi Pastura e Costanzo, assieme ad altri due, sono ritenuti, a vario titolo e in diverse fasi, i fornitori di cocaina e marijuana. Riguardo ai singoli presunti pusher, va evidenziato che sono stati ritenuti colpevoli in primo grado di spaccio di marijuana e cocaina, in diversi periodi, Virzì e Lo Grande; di spaccio di marijuana e hashish, sempre in vari momenti, Pietro e Salvatore Piccione, Trovato e Calì.

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21 Marzo 2023, 19:08

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