Fermo posta Messina Denaro | "Con la stessa carrozza arrivaru" - Live Sicilia

Fermo posta Messina Denaro | “Con la stessa carrozza arrivaru”

DI RICCARDO LO VERSO. Messina Denaro resta l'ultimo dei padrini latitanti. È sempre più solo, però. Perché l'arresto di Vito Gondola, anziano capomafia mazarese, e degli altri dieci fedelissimi, spazza via davvero la cerchia ristretta che gli ha consentito di comandare nonostante la latitanza.

CACCIA AL LATITANTE
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PALERMO – Le direttive sono arrivate. Messina Denaro li ha inviati con un sistema tanto arcaico – i pizzini quanto efficace. In aperta campagna, tra Mazara del Vallo e Salemi, una vecchia masseria in contrada Lippone è stata la sua stazione di posta. Una rete di fedelissimi si è accollata l’onere dello smistamento della corrispondenza, riuscendo, ancora una volta, ad evitare che l’ultimo anello della rete di trasmissione venisse scoperto.

Messina Denaro resta l’ultimo dei padrini latitanti. È sempre più solo, però. Perché l’arresto di Vito Gondola, anziano capomafia mazarese, e degli altri dieci fedelissimi, spazza via davvero la cerchia ristretta che gli ha consentito di comandare nonostante la latitanza. Troppe volte la parola “fedelissimi” è stata sbandierata anche quando ci si trovava di fronte ai gregari del clan. Stavolta, però, sussurrano gli investigatori in prima linea, parliamo degli uomini più fidati del capomafia di Castelvetrano.

Fino al marzo 2010 il sistema di trasmissione della corrispondenza era stato gestito dai cognati del latitante, Vincenzo Panicola e Filippo Guttadauro, e dal fratello Salvatore. Sono stati tutti arrestati quattro anni fa e così Messina Denaro ha guardato al passato per rimpiazzarli. Un passato che si fa presente nella figura di Gondola, nome storico della mafia trapanese. C’era pure lui nella cena organizzata nel dicembre del 1991 a base di ostriche, aragoste e Dom Perignon nella casa di Tonnarella dove dimorava Totò Riina. Fu lì che il capo dei capi decise di sterminare i nemici della mafia marsalese. Come storico è il ruolo in Cosa nostra di Michele Gucciardi, boss di Salemi, che il postino di Messina Denaro lo aveva già fatto negli anni Ottanta. E “pizzinaro” in epoca più recente lo era già stato anche Domenico Scimonelli, originario di Partanna, che fino a pochi mesi fa era anche componente del consiglio nazionale della nuova Democrazia cristiana (il segretario nazionale Angelo Sandri ha spiegato all’Ansa che Scimonelli non ha rinnovato la tessera per l’anno in corso). A loro si sarebbero aggiunti degli insospettabili come Michele Terranova, proprietario della masseria o Sergio Giglio. Parlavano di “mangimi”, “spargi-concime” e “forbici da tosa”, ma in realtà discutevano dei pizzini di Messina Denaro. Si incontravano all’aperto dove è stato complicatissimo piazzare microspie e telecamere. Sapevano di essere seguiti dagli investigatori ma, come diceva lo stesso Gondola, “non è che uno si… impressiona non deve camminare più… se dobbiamo camminare dobbiamo camminare…”. Era uno sporco e rischioso lavoro, ma qualcuno doveva pur farlo, nonostante Giglio lo avesse messo in guardia che “l’altra mattina a Salemi due macchine c’erano… facevano dai Cappuccini, sali e scendi… sali e scendi…”. E nonostante Gucciardi sapesse che “siamo tutti guardati”.

L’imperativo era cautela. I pizzini sono arrivati, dal 2011 al 2014, tre al massimo quattro volte l’anno. Andavano letti e subito distrutti. Poi, toccava a Gondola distribuire gli ordini e attendere l’arrivo delle risposte che andavano preservate dagli occhi indiscreti. “…abbasta questo Vicè … questo vieni qua prendi il martello… zappa qua sotto…”, diceva Gondola a Vincenzo Giambalvo che aveva fatto “un poco di buco”. Un codice cifrato teneva sotto copertura i mittenti, anche se Gondola sapeva bene chi fossero gli autori (“… quello di Salemi … ha scritto…”). Così come conosceva la tempistica delle comunicazioni: “A quindici giorni… oggi ne abbiamo due… uno… trentu … uno… perciò giorno 16, giorno 15 noi ci dobbiamo vedere”. E lo sapeva pure Gucciardi: “…entro il 15 queste cose devono partire destiniamo la data per buono, il 14 va bene… il 14, alle case la dove ci sono le olive… tu a Mimmo gli fai sapere che entro il 15… prima… no giorno 15, prima di giorno 15 si deve incontrare con lui…”. Che aggiungeva: “Io me lo immaginavo che c’era qualcosa in arrivo con la stessa carrozza arrivaru”.

Ecco, attorno alla “carrozza” si gioca la partita per la cattura del latitante. È il tassello decisivo per scovare il latitante ovunque si trovi. È l’uomo del mistero a cui, diceva Gondola, andava consegnata la contabilità di chissà quali affari (“… dei conti lui aspetta… facciamo due viaggi… non ce lo dimentichiamo… per loro urgenza c’è…”). Perché Gondola era il terminale della raccolta dei pizzini da e per Messina Denaro, ma il latitante poneva un filtro fra lui e i suoi uomini. “… gliela posso dare a quello… – spiegava sempre Gondola – che la devo dare io a lui… perché tutte le cose a me…mi pare giusto… ma a chi lo devo dare io… giusto è… se me li mandi tutti cose… riceve tutte le cose… se mi mandi una partita… sono… come per la prudenza … decidi tu… e glieli devo mandare a dire queste cose”.


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