PALERMO – Scene di vita. Vita da mafiosi, ripresa dal Grande fratello delle forze dell’ordine. Gli scatti sono confluiti nel processo ai clan di Porta Nuova e Bagheria. Oggi sono arrivate richieste di pena per 350 anni di carcere. Boss e picciotti si muovevano per le strade della città. Organizzavano summit, discutevano di affari sporchi, inviavano spedizioni punitive, bussavano alla porta degli imprenditori per imporre il pizzo. Gli scatti pubblicati in esclusiva sul mensile S raccontavano i movimenti del clan alla luce del sole, in mezzo alla gente. Si accorgevano pure di essere spiati, ma continuavano le loro strategie. Boss e picciotti pur sapendo di essere intercettati andavano vanti. Non avevano altra scelta.
Il racket e il ritorno ai traffici di droga sono necessari per pagare gli stipendi, mantenere le famiglie dei detenuti e controllare il territorio. Tanti commercianti si piegano ancora al racket. Alcuni denunciano, però. Spesso la loro non è una ribellione spontanea, ma confermano l’evidenza delle indagini. Ma ci sono pure casi di denunce spontanee che, però, restano poche rispetto alla capillarità del racket. Il grande fratello degli investigatori ha consentito anche di svelare i retroscena di fatti di cronaca che altrimenti sarebbero rimasti nel limbo degli episodi indecifrabili. Storie di ordinaria violenza.
Il pestaggio alla Worldfish
Da Bagheria a Palermo, nel cuore del mandamento di Porta Nuova. Le indagini sfociate nel blitz Panta Rei del dicembre 2015 hanno piazzato Paolo Calcagno al vertice del potente clan che domina sulla parte centrale della città. Fino al suo arresto era un insospettabile imprenditore del settore ittico. Il 19 marzo 2014 si accesero le telecamere davanti allo stabilimento Worldfish di via delle Cappuccinelle. È uno dei magazzini di proprietà di Calcagno che fu il primo ad arrivare, seguito da Rocco Marsalone, Ludovico Scurato, Giuseppe Ruggeri, Rosario Fricano, Francesco Paolo Grances e Salvatore Bertolino. Infine Giuseppe Di Giovanni e Rosario Fricano. Tutti coinvolti nell’inchiesta, tranne Bertolino che è un pregiudicato per armi e reati contro il patrimonio.
Il magazzino era stato riempito di microspie, che registrarono voci di un pestaggio. Di Giovanni: “… cornuto, cornuto che non sei altro… la sera non ci stai a casa?… lo hai capito che devi finire?… è da un po’ che mi prendi per il culo… vattene, vattene… pezzo di cornuto che sei…”. Di quale colpa si era macchiato Bertolino resta un mistero. Finito il pestaggio, andarono via tutti insieme. E Fricano chiuse la porta.
Caccia alle microspie
Avevano capito di essere pedinati e intercettati. Agli uomini di Porta Nuova non restava altro da fare che cercare di limitare i danni. E così partì la caccia a microspie e telecamere. A cominciare dai locali della Worldfish di Calcagno. Solo che anche i tentativi di gabbare gli investigatori sono rimasti impressi nei video. Si vedeva Ludovico Scurato che cercava una cimice con la scopa sotto l’insegna.
Si faceva aiutare da Rosario Fricano che le indagini dipingono come la persona in grado, ed è inquietante, di acquisire notizie sulla localizzazione delle cimici. Era lui l’uomo immortalato su una scala alla ricerca delle microspie; mentre toccava a Scurato individuare una telecamera e a Ruggeri coprirla con una busta di plastica. Un tentativo goffo.
Lo sgarbo della spazzatura
La forza di un capo si misura anche dalle faccene solo apparentemente più banali. Come quella registrata dalle telecamere in via de Cassari dove ha sede il pub “N’cantu”. Si tratterebbe di un locale che Calcagno avrebbe intestato a un prestanome. Una sera di ottobre era scoppiata una questione con il titolare di un altro esercizio commerciale. Due ragazzini avevano spostato i cassonetti della spazzatura sistemati vicino a un pub di piazza Garrafaello, piazzandoli davanti al pub N’cantu. Giuseppe Spitaliere, considerato il prestanome di Calcagno, aveva chiesto spiegazioni.
I ragazzini avevano ricevuto l’ordine da Giuseppe Corona, un pregiudicato molto conosciuto in zona. “Chi è che li ha portati di nuovo qua?”, chiedeva Calcagno. Risposta: “… i picciotti… no, dice, se hai problemi ti vai ad informare con Corona. Non lo so, non so chi siano questa gente. Non li conosco. In via dei Cassari arrivarono Salvatore David, Paolo Calcagno e Giuseppe Ruggeri. La discussione con Corona fu breve. Poco istanti dopo qualcuno riposizionò i cassonetti a piazza Garraffello, lontano dal pub di Calcagno. Anche questo sarebbe un segnale del ruolo di peso che in quel momento ricopriva.
Affari in corso
È sempre il magazzino della Worldfish a svelare che dietro apparenti banali capannelli di borgata si celavano strategia per affari illeciti. Il 27 maggio 2014 Alessandro Bronte, considerato l’uomo della droga a Porta Nuova, assieme al suo braccio destro Pietro Catalano incontrava Pietro Calcagno e Domenico Tantillo, presunto reggente della famiglia di Borgo Vecchio e tirato in ballo dal fratello Giuseppe divenuto collaboratore di giustizia. Bronte aveva un problema con gli spacciatori di Ballarò: “… se quelli non mi portano il conto a Ballarò non gliela do… lui questa settimana mi doveva dare i soldi e non ho raccolto neanche un centesimo…”.
È un’intercettazione decisiva, una delle prime in cui emergerebbe lo spessore criminale di Mimmo Tantillo che fino ad allora gli investigatori non erano riusciti a collocare nelle gerarchie di Cosa nostra. Non solo, Mimmo Tantillo ammetteva inconsapevolmente le proprie responsabilità: “… cinque chili a mille e sei fanno ottomila euro… mi sono bloccato pure io… mezzo chilo da un’altra parte mi devi andare a prendere…”. Bronte: “… non ce l’ho perché… l’ho messa dentro io… e ne ho prese due… è bellissima, se la vuoi…”.