PALERMO – C’è Matteo Messina Denaro dietro la nomina dei vertici dei mandamenti mafiosi di Palermo. Il padrino di Castelvetrano sarebbe entrato a gamba tesa nelle dinamiche della Cosa nostra palermitana, abbandonando l’apparente disinteresse mostrato per ogni faccenda che fosse lontano dal suo territorio.
Ne è sicuro Vito Galatolo, il boss dell’Acquasanta che ha deciso di pentirsi. E ha raccontato che Messina Denaro non solo avrebbe ordinato di organizzare l’attentato al pubblico ministero Antonino Di Matteo, ma avrebbe pure piazzato gli uomini alla guida di tre importanti mandamenti della città: Resuttana, Santa Maria del Gesù e Brancaccio.
A Resuttana il bastone del comando era stato affidato allo stesso Galatolo che avrebbe così ricoperto un ruolo più prestigioso rispetto a quello di capo famiglia dell’Acquasanta. E così nella riunione in cui si discusse di fare saltare in aria il magistrato, Mimmo Biondino gli comunicò le scelte del latitante. “Tu lo sai che noi avremmo il piacere che fossi tu al mandamento di Resuttana”, disse Biondino, anziano boss di San Lorenzo. “No, gli ho detto, non mi interessa – ha messo a verbale Galatolo – e lui mi dice vedi che è Matteo che lo manda a dire, Messina Denaro”.
Gli ordini del padrino non andavano discussi e Galatolo rispose signorsì. Obbedire significava accettare ogni onere, anche quello di sferrare il nuovo e violento attacco allo Stato: “E così ho accettato… quando gli ho detto sì al Biondino, significa che io già sto accettando il mandamento”. Galatolo non ebbe dubbio alcuno che la paternità della lettera fosse del boss latitante: “Siccome il Biondino c’aveva il vizio che balbetta un po. Non ha letto questa lettera, ma l’ha fatta leggere ad Alessandro c’era scritto che era Messina Denaro, vostro fratello, perché si firmava vostro fratello, in cui aveva bisogno di questa cortesia”. Proprio la firma “vostro fratello”, lontana dalle abitudini finora riscontrate nelle indagini sulla cattura del latitante, è uno dei dubbi maggiori sollevati da chi gli dà la caccia sull’autenticità della lettera.
Inevitabile che i pm che stanno raccogliendo le dichiarazioni di Galatolo gli chiedessero quali altre “disposizioni” avesse dettato Messina Denaro. “Di farsi i mandamenti, le famiglie”, ha risposto subito Galatolo, aggiungendo altri particolari che sposterebbero indietro nel tempo l’intervento del boss trapanese negli affari della mafia palermitana: “… ma già loro se li erano fatti i mandamenti… addirittura la famiglia di Santa Maria di Gesù, se l’è fatta prima di noi, con Ino Corso, ma sempre su ordine di Matteo Messina Denaro… Ino Corso di testa sua non può arrivare a farsi il mandamento… ci deve essere una spinta”.
Corso è stato arrestato nel 2010, questo vuol dire che, sulla base del racconto di Galatolo, in carcere si fanno gli uomini d’onore e si decidono pure i capimafia. Le sbarre non sono un ostacolo. E il pentito lo ha detto chiaramente, rispendendo ai pm: “In carcere aveva sentito parlare che Corso era stato investito da Messina Denaro per essere capomandamento?”. “Sì, ma anche Nino Sacco di Brancaccio ha avuto la…comandavo tutti e due Lupo Cesare e Sacco Nino… quando li hanno arrestati a Sacco Nino lo hanno portato al piano dove ero io, al Pagliareli, e mi ha spiegato ‘ti mandano a dire che… fatti la famiglia… perché noi già ce lo siamo fatti, Santa Maria dei Gesù se l’è fatto… perché Nino Sacco, un due anni prima, è stato in cella con Messina Denaro Salvatore (è il fratello di Matteo ndr)”. In qualche modo, ha fatto capire il boss dell’Acquasanta, il fratello avrebbe mediato gli ordini del boss latitante.