PATERNO’. C’è pure il figlio del boss Salvatore Rapisarda fra i tre condannati per mafia che questa mattina si presenteranno dinanzi alla Corte d’appello di Catania per chiedere uno sconto di pena, sulla scorta di un annullamento con rinvio disposto in Cassazione. Alla sbarra saranno gli imputati di uno stralcio del processo En Plein, dal titolo dell’operazione del 2015 con cui fu letteralmente decapitato il gruppo mafioso di Paternò, vicinissimo al clan Laudani e capeggiato, per l’appunto da Turi Rapisarda.
Vincenzo Rapisarda, difeso dall’avvocato Sergio Ziccone, ha preso in appello 12 anni di reclusione perché ritenuto responsabile dei reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e per concorso nel tentato omicidio, risalente al 30 luglio del 2014, di Antonino Giamblanco detto “u sciallarese”.
Oggi sarà alla sbarra assieme a Giuseppe Parenti, difeso dall’avvocato Eleonora Baratta, e Alessandro Farina, difeso dall’avvocato Salvatore Centorbi. Farina aveva preso 10 anni di reclusione. Parenti, in primo grado, era stato condannato a 22 anni, per effetto della somma algebrica di due condanne a 11 anni per due differenti ipotesi di associazione a delinquere di stampo mafioso, dato che riferite a clan diversi anche se operanti nello stesso territorio, ma relativamente a periodi piuttosto brevi (poco più di tre mesi con un gruppo e sei con un altro), risalenti grossomodo a una decina d’anni fa.
In appello, difeso dall’avvocato Baratta, la pena scese, ma solo a 18 anni, ancorché il difensore avesse chiesto di riconoscere la continuazione dei reati, negata in primo grado. Richiesta che, se accolta – nell’eventualità cioè in cui i reati fossero stati ritenuti “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso” fra loro o con altri – avrebbe portato o porterebbe la pena a scendere ulteriormente.
La Suprema Corte l’anno scorso accogliendo soltanto alcune delle eccezioni sollevate a Piazza Cavour dagli avvocati Baratta e Ziccone, ha annullato la sentenza di secondo grado per tutti e tre, disponendo un appello bis per rideterminare la pena, valutando almeno la concessione delle cosiddette attenuanti generiche; mentre per altri imputati le condanne sono già definitive. I giudici della Corte d’appello dovranno, infatti, procedere alla rideterminazione della pena, sempre nell’ottica di un compendio normativo che per questo genere di reati prevede pene piuttosto alte.