Mafia e venti di guerra | Sette condanne a Porta Nuova - Live Sicilia

Mafia e venti di guerra | Sette condanne a Porta Nuova

Gli imputati condannati

Sotto processo c'erano sette persone, tutte fermate nel blitz Iago dell'aprile 2014.

Palermo - la sentenza
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PALERMO – Sono stati tutti condannati i presunti affiliati al clan di Porta Nuova. Sono i presunti protagonisti di quella che solo grazie all’intervento dei carabinieri non fu una stagione di sangue. Dal carcere Giovanni Di Giacomo progettava la vendetta per l’assassinio del fratello Giuseppe, morto ammazzato alla Zisa.

Queste le condanne inflitte: Giovanni Di Giacomo (12 anni), Tommaso Lo Presti, classe 1975, detto ‘il pacchione’ (12 anni), Emanuele Vittorio ed Onofrio Lipari (rispettivamente 12 anni e 10 anni e otto mesi), Nunzio Milano (12 anni), Marcello Di Giacomo (8 anni e otto mesi), Stefano Comandè (8 anni) e Francesco Zizza (8 anni).

Furono tutti fermati nell’aprile 2014 dai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Palermo . Giovanni Di Giacomo aveva ricevuto un telegramma in carcere. Il mittente era il fratello Marcello: “Caro Gianni la salute del bambino tutto bene in unico abbraccio ti vogliamo bene”. Secondo gli investigatori, altro non era che la comunicazione dell’imminente messa in atto del piano di morte. Da qui l’urgenza dell’intervento dei militari.

Una pagina processuale, seppure in primo grado, è stata chiusa, ma resta in piedi l’indagine sull’omicidio. E nei mesi scorsi è andato in scena, seppure a distanza, il confronto fra Giovanni Di Giacomo e Tommaso Lo Presti, indicato dal neo pentito Vito Galatolo come il possibile mandante del delitto. Emanuele ed Onofrio Lipari, padre e figlio, erano collegati in videoconferenza per evitare contatti con Di Giacomo che, così hanno svelato le microspie dei carabinieri, su di loro voleva scaricare la sua collera. Voleva vendicarsi perché li riteneva responsabili della morte del fratello. E in aula Onofrio Lipari sentì la necessità di prendere la parola per spiegare che lui non ha “motivi di astio contro nessuno e nessuno né ha contro di me”.

Dopo l’arresto di Alessandro D’Ambrogio, considerato il leader del mandamento di Porta Nuova, Giuseppe Di Giacomo aveva scalato le posizioni di potere, forte della parentela con il fratello, storico componente del gruppo di fuoco di Pippo Calò. Nei mesi della sua ascesa, frenata con il piombo, erano sorti malumori. Ai Di Giacomo non era piaciuto l’atteggiamento dei Lipari, ritenuto “troppo distante”, e il loro obiettivo di mettere le mani sugli incassi delle sale scommesse della vittima. E così scattò la reazione. Giovanni Di Giacomo ordinò al fratello di riferire a Tommaso Lo Presti, che nel frattempo sarebbe tornato a comandare, di uccidere i Lipari: “… si preparano fanno l’appuntamento e mentre c’è il discorso fanno bum bum e s’ammogghia tutto”. Lo stesso Lo Presti che, ipotizzando il più classico dei voltafaccia, potrebbe avere “tradito” i Di Giacomo. Almeno così racconta Vito Galatolo.


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