Maledizione Antimafia su Libera |Volano gli stracci tra i duri e puri

Maledizione Antimafia su Libera |Volano gli stracci tra i duri e puri

Giancarlo Caselli e don Luigi Ciotti

Il network di associazioni fondato da don Ciotti, che negli anni ha visto accrescere il suo peso anche nel rapporto con la politica, non viene risparmiato dai veleni che hanno attraversato in questo anno il mondo dell'antimafia.

PALERMO – E alla fine, proprio negli ultimi scampoli, l’anno maledetto dell’Antimafia non ne risparmiò nemmeno l’ultimo baluardo. Investendo persino Libera, l’ultimo moloch rimasto in piedi dell’antimafiosità organizzata, con una polemica interna innestata da Franco La Torre, figlio di Pio, che lascia la creatura di don Ciotti sbattendo la porta. Una baruffa che scuote il coordinamento di associazioni antimafia, fondato e presieduto del sacerdote torinese. La Torre, nell’articolo apparso oggi su Repubblica, parla di “autoritarismo” e “mancanza di democrazia”, sollevando dubbi sulla classe dirigente del movimento. Un network che in questi vent’anni ha visto crescere esponenzialmente le sue dimensioni e il suo peso. E ampliare sempre di più la sua influenza sulla politica.

Libera è un coordinamento di associazioni antimafia, punto di riferimento per oltre 1.600 realtà nazionali e internazionali, impegnato su diversi fronti contro la criminalità organizzata. Un mondo articolato e variegato il cui cuore economico, ricostruiva in un dettagliato articolo su Livesicilia Claudio Reale qualche mese fa, è “Libera Terra”, che gestisce 1.400 ettari di terreni confiscati alla mafia, dà lavoro a 126 persone e muove un fatturato che nel 2013 ha sfiorato i sei milioni di euro.

All’impegno sul fronte dei beni confiscati, la galassia di don Ciotti affianca altre attività di impegno sociale come i percorsi educativi in collaborazione con 4.500 scuole e numerose facoltà universitarie e il sostegno alle famiglie delle vittime delle mafie, che passa anche dalla mobilitazione annuale del 21 marzo, “Giornata della memoria e dell’impegno”. Affollatissima quella di quest’anno a Bologna, presenti tra gli altri la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi e l’immancabile Giancarlo Caselli, che con don Ciotti da tempo forma un ideale tandem, germogliato in quel cattolicesimo torinese di sinistra (cattocomunista, direbbero i detrattori), dialogante con la tradizione azionista del capoluogo piemontese. Un ambiente culturale e politico rappresentato ai massimi livelli, non solo nell’associazionismo e nelle procure. Ma anche nella politica, dove la galassia di Libera si è fatta e si fa sentire eccome. Ad esempio spingendo anni fa, a suon di imponenti raccolte di firme, per l’approvazione della legge sull’uso sociale dei beni confiscati. Ma anche, negli ultimi anni, con una più diretta attività di lobby, entrando direttamente nelle Istituzioni con propri rappresentanti.

Come già era avvenuto con Rita Borsellino, cofondatrice, vicepresidente e poi presidente onoraria dell’associazione. Alle ultime Politiche, i candidati vicini a don Ciotti furono ben quattro, tra Piemonte e Calabria, distribuiti tra Pd e Azione civile di Antonio Ingroia. Tra loro il piemontese Davide Mattiello, per anni dirigente di Libera, che in Parlamento è andato a fare anche il relatore della legge di riforma della gestione dei beni confiscati, tema quanto mai caro a Libera.

Riverita dai politici di sinistra (che fanno a gara ad apparire pubblicamente a fianco al “don”), la creatura di don Ciotti negli ultimi tempi è stata presa di mira dal Movimento 5 Stelle per una vicenda che riguardava la gestione di lidi balneari a Ostia. Vicenda sulla quale Libera rispose punto per punto alle accuse grilline. Fu la rottura di quello che era sembrato un mezzo idillio con i pentastellati.

Ora arriva il “caso” La Torre. Raccontato oggi da quello che in questi anni è stato uno dei giornali più attenti alle vicende della creature di don Ciotti, quella Repubblica diretta (ancora per un po’) da un altro figlio della Torino crogiolo di ideologie in cui confluivano il Pci, la cultura azionista e pure un certo “intransigentismo” cattolico, cioè Ezio Mauro. A sua volta già direttore de La Stampa, quotidiano che negli anni della Primavera seguì da molto vicino le mosse di quell’antimafia politica che prendeva corpo in Sicilia e che per lessico antisistema e contenuti aveva quasi un filo rosso a collegare la Palermo di Padre Sorge, Padre Pintacuda e Leoluca Orlando alla Torino di Cesare Romiti. Proprio negli anni caldissimi della procura guidata da Giancarlo Caselli.

Nell’anno in cui l’Antimafia s’è rotta, insomma, nessuno sembra immune dal terremoto. Azzoppata l’antimafia-lobby in giacca e cravatta degli imprenditori, “mascariata” persino quella togata dopo lo choc dell’inchiesta sulla gestione dei beni confiscati, ha tenuto botta quella delle t-shirt, del clergyman e dei cappellini. Che pur restando lontana da scandali giudiziari, vede adesso irrompere l’ombra dello scontro e dei veleni. Scatenati, spiega La Torre a Riccardo Lo Verso, anche dal “caso Saguto”. Già quella Silvana Saguto che raccontò in un’intervista di avere ricevuto da Libera e Addiopizzo segnalazioni sugli amministratori da nominare. Circostanza questa smentita dagli interessati. Che pararono il colpo, così come era accaduto con la polemica dei 5 Stelle. Ma che stavolta si trovano a dover fare i conti con le accuse di chi ha vissuto sotto quel tetto per anni. È l’annus horribilis dell’Antimafia, in cui ogni giorno ha la sua pena. Proprio per tutti.


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