E in citta' si libera una poltrona | Buttafuoco lascia lo Stabile - Live Sicilia

E in citta’ si libera una poltrona | Buttafuoco lascia lo Stabile

"La Sicilia ha bisogno di sospendere la democrazia". Ma Catania si salverà grazie all'Università.

Intervista esclusiva
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7 min di lettura

CATANIA – Sono passati più di cinque anni -era il 18 maggio del 2007- da quando lo scrittore e giornalista Pietrangelo Buttafuoco è stato nominato presidente del Teatro Stabile di Catania. 

Dopo l’era di Pippo Baudo, alla guida dell’ente per sette anni, l’arrivo del sulfureo intellettuale era stato percepito come un grande segno di rinnovamento. E in effetti gli anni della gestione Buttafuoco hanno visto una grande apertura del teatro a mondi lontanissimi ma paralleli, come quello dei libri, quello dell’Università e delle rassegne contemporanee.

Poi qualcosa si è incrinato. E oggi Pietrangelo Buttafuoco rassegna le sue dimissioni.

Presidente Buttafuoco, oggi con questa lettera che livesicilia sta anticipando in esclusiva ti dimetti dal Teatro Stabile, dopo cinque anni di presidenza. Perché, e perché proprio oggi?

Proprio oggi, in data 29 ottobre, perché ci sarà un nuovo presidente della Regione. Non l’ho fatto prima per evitare che il presidente uscente, preso com’era a fare nomine fino all’ultimo, ci mettesse cappello. Mi dimetto perché l’Ente Regione, pur erogando contributi a tutti gli enti culturali, ha cinicamente tolto i soldi allo Stabile per portarlo all’asfissia finanziaria. Mi dimetto, dunque, per amore dello Stabile: levando di mezzo il morto in mezzo alla casa, ovvero io, torneranno i fondi. So bene che è così. So bene che hanno voluto punirmi per non aver fatto il bagnetto insieme a loro, nella comitiva dei rallegranti dell’ex presidente. Poiché il Teatro non era certo in difetto rispetto agli standard, quanto meno agli standard correnti, su quel convincimento ho fatto un’ulteriore considerazione: perché dovrei incaponirmi e mantenere la mia presenza, se poi deve risultare un danno per questo gioiello e per i lavoratori che ci mettono il sangue ogni giorno?

Per quale motivo tutto il mondo della politica catanese, compreso il sindaco che è sempre stato al tuo fianco, ora ce l’ha con te?  

Appunto per questo motivo: non sono affidabile. E se tu dici che anche il sindaco, mio amico personale, ce l’ha con me, se lo dici tu ti credo e ti offro una spiegazione: forse ce l’ha con me perché negli interventi pubblici di questa estate l’ho sfacciatamente elogiato. E magari ne sarà stato imbarazzato, visto il suo legame con l’ex presidente della Regione il quale eccelle in un’arte molto particolare: fare litigare gli amici, portare zizzania e sfasciare i rapporti. Se veramente il sindaco ce l’ha con me io, al contrario, non ce l’ho con lui. Ha sempre difeso il Teatro e ha sempre fronteggiato la sgangherata comitiva degli autonomisti sciuè sciuè.

Però il tuo teatro è stato travolto dalle polemiche. Tu non hai niente da rimproverarti? Molti si auspicavano una tua maggiore presenza e soprattutto maggiore incisività nelle scelte e nelle decisioni. Per quale motivo, a un certo punto, hai deciso di tirartene fuori?

Il Presidente è, appunto, un presidente. Un ruolo ben diverso dalla direzione cui è data facoltà di scelta e decisioni. La mia presenza poteva avere tante vaghe stelle che, se non proprio dell’Orsa, si saranno magari ridotte alla costellazione del cane cirneco. Ecco, non ho visto l’allestimento di Vulcano di Filippo Tomaso Marinetti, sull’Etna; non ho potuto godere di Rinaldo in Campo; neppure realizzare il derby dei derby, una gara di comicità e teatro tra Catania e Palermo; manco l’Opera dei Puppi, cioè i paladini in travesti al modo del Vizietto s’è potuto fare. In teatro non è come nel giornale dove ciò che uno pensa poi si realizza. Ci sono fatiche fatte di falegnameria, di contratti e di tanta pazienza. Ma soddisfazioni ne ho ricavate tante. Mi sono tirato fuori quando, sul palco, durante la presentazione della stagione, me ne sono stato zitto per non dover procurare guai al Teatro urlando contro la Regione che ha tolto soldi. Gli spettacoli dello Stabile, sotto la regia di Giuseppe Dipasquale, sono stati pluripremiati in anni diversi e applauditi ovunque. Ma si sa: nemo propheta in Patria. Anche lui, fidati, non è tanto profeta in via Etnea.

E le polemiche?

Suvvia, sono state sollevate da politici locali interessati a collocare loro clienti. Hanno gridato agli sprechi nel frattempo che foraggiavano eventi e giri di comparaggio artistico presto precipitati nella voragine delle inchieste.

A cosa ti riferisci?

Eventi, l’inchiesta “Grandi Eventi”, giusto? Ebbene, su questi, mai una volta che si levassero voci e grida per reclamare inchieste, ispezioni e crucifige. Lo Stabile è stato oggetto di due ispezioni, una della Regione, un’altra – sollecitata da me – dallo Stato, e non è venuta fuori tutta quella vergogna scovata invece nelle amate stanze degli artisti da “eventi”.

Hai avuto contro pure tutto il CdA dello Stabile. Campo si è rifiutato di partecipare ai Consigli convocati da te. E’ stato pure censurata una tua domanda durante una serata con Ficarra e Picone sul palco, perché andava contro il governo regionale. Eppure quando sei stato eletto i catanesi hanno riposto molte speranze, nella tua presidenza. Cosa si è rotto?

Non tutto il CdA, se non ci fosse quel galantuomo di Raffaele Marcoccio, il vice presidente… Ecco, ho avuto contro solo Gesualdo Campo, ma solo per una forma di decoro istituzionale. E’ uno stimato funzionario della Regione e ha scritto una lettera a La Sicilia per prendere distanze da un mio pezzo su La Repubblica. Nulla che riguardasse il teatro. Forse è sfuggito questo dettaglio. Privatamente però mi dà ragione, altro che. S’è pure scagliato pubblicamente contro i consiglieri locali aizzati dall’ex presidente della Regione. Ha dimostrato coraggio. E nel ricordare questo non tradisco una riservatezza tra me e lui. Se qualcosa s’è rotto, infine, tra la mia presidenza e la città, è presto detto: le alchimie di Catania sono troppo raffinate per una mente grezza come la mia. Come mi diceva sempre un amico, il migliore della squadra dell’ex presidente della Regione, “tu ti scateni, hai ragione, ma poi noi dobbiamo restare a vivere qui”. Aveva ragione lui. Non faccio il nome perché ogni volta che ne faccio un elogio si deve poi beccare i rimbrotti dell’ancora potente ex.

 A Catania il mondo della cultura è allo sfascio. Oppresso dal provincialismo e dalla mancanza di iniziative. Cosa si può fare per riportare Catania al livello che merita?

Nulla. Non si può fare nulla. Le cose sorgono per allegria, per effervescenza e disobbedienza. Non esiste una ricetta che metta in circolo la cultura. Se la gente se ne fotte delle iniziative non si può pensare di farle sorgere per costrizione. E comunque a Catania c’è quella meraviglia dell’Università. Ci sono fuoriclasse come Antonio Di Grado, Tino Vittorio, Enrico Iachello. E poi tante librerie…

Nell’ultimo periodo hai scritto di tutto e di più contro la “buttanissima autonomia regionale”. Per quale motivo? E adesso, di cosa avrebbe bisogno la Sicilia?

Ne ho scritto perché è la nostra disgrazia. Anche Francesco Merlo, su La Repubblica, ha chiesto l’abolizione dell’autonomia in Sicilia. Anche Ivan Lo Bello, se non ricordo male, in un’intervista al Corriere ha detto la stessa cosa. E così Salvatore Settis, puntando il dito contro la sciagurata autonomia. E la Sicilia dovrebbe, appunto, rinunciare alla buttanissima autonomia. Abbiamo già perso il Felicissimo Regno delle Loro Maestà Borboniche. Una volta la pensavo diversamente, ero perfino separatista ma la frequentazione istituzionale di quelle facce mi ha svegliato. L’autonomia che è la fonte prima di tutte le nostre disgrazie. Noi non siamo trentini, non siamo nella Valle d’Aosta, siamo appunto siciliani che vivono in Sicilia e abbiamo un vulnus da cui non sappiamo emanciparci: abbiamo fatto della nostra terra la fogna del potere. Avremmo bisogno di sospendere la democrazia, ogni campagna elettorale è un concorso pubblico per trovare un posto. Abbiamo urgenza di una dittatura perché non si può pensare di rimettere in circolo il futuro quando già tutte le nuove generazioni sono pronte a scappare. Ci vuole un nuovo Cesare Mori, il prefetto di Ferro

Su cosa deve puntare la nostra Regione? E cosa auguri al nuovo Governatore? 

Appunto, di fabbricare un nuovo Cesare Mori. Di essere un nuovo Cesare Mori.

E ai tuoi colleghi che oggi iniziano questa nuova avventura di livesiciliacatania?

Complicità, curiosità e creatività.

 

 

 

 

 

 

 


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