PALERMO – La pena più alta – 10 anni e sei mesi – è stata inflitta ad Alessandro Di Mariano. Era uno degli imputati chiave di uno dai tanti filoni sugli spaccaossa.
La terza sezione del tribunale presieduta da Fabrizio La Cascia ha condannato anche Pietro Marino e Giovanni Segreto (un anno e mezzo ciascuno), Giacoma Tantillo (10 mesi), Gaspare Ilardi e Gaetano Taormina (un anno ciascuno). Erano imputati per frode processuale.
Assolti Giacomo D’Ambrogio (difeso dall’avvocato Gianluca Calafiore) e Filippo Inguglia (infermiere in pensione dall’ospedale Civico: non ha retto l’accusa che fosse il “fornitore” degli anti dolorifici).
Il blitz
Nell’aprile 2019 il blitz, coordinato dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dai sostituti Francesca Mazzocco e Andrea Zoppi. Antonino Di Gregorio e Giovanni Napoli – non erano imputati in questo processo – avrebbero guidato due organizzazioni scoperte da poliziotti, finanzieri e agenti della polizia penitenziaria.
C’erano persone disposte a farsi spezzare gambe e braccia per incassare gli indennizzi delle assicurazioni. Una sera al pronto soccorso c’erano contemporaneamente sette infortunati.
Le vittime e complici dei falsi incidenti venivano adescati fra gli sbandati che si aggirano di notte alla stazione centrale o frequentano le bettole per ubriacarsi. Il più delle volte hanno finito per essere anche truffati.
L’inchiesta
Dei soldi promessi hanno incassato gli spiccioli, neppure sufficienti per comprare i farmaci ed alleviare il dolore delle fratture provocate con grosse pietre. In molti hanno ammesso le loro colpe. Per mesi furono convocati negli uffici della squadra e della finanza. Arrivavano zoppicanti, uno dopo l’altro.
“Avevo altri debiti”, raccontò uno di loro che ricevette la proposta “di farmi rompere un braccio o una gamba per saldare il mio debito”.
Lo condussero in un appartamento a Borgo Nuovo e qui “mi hanno fatto mettere per terra, a pancia in giù, e mi hanno scaraventato sul braccio un mattone di tufo di colore giallo. Io sono quasi svenuto dal dolore”. C’era il disoccupato a cui diedero appuntamento in una “casetta di campagna a Bagheria” e “con un peso da palestra mi hanno fratturato tibia, perone, malleolo e radio così come eravamo rimasti”.
C’era la donna avvicinata al bancone di un bar dove “mi hanno offerto tre o quattro birre, poi mi hanno fatto fumare almeno quattro spinelli”. Poi, le spezzarono gli arti inferiori e superiori. “Il primo piano e il secondo piano”, li definivano. Almeno lei ebbe la fortuna che “mi ha fatto due punture, una nel braccio destro e l’altra nella gamba sinistra”. infermiere in pensione dell’ospedale Civico.
C’era la ragazza, che tutti chiamano “la milanese”, “una vagabonda che avevano trovato alla stazione e che si tenevano a casa in attesa di fratturarla”. Era in lista di attesa, così come un ragazzino di sedici anni.