Mi sono vaccinato, ma non è stato un privilegio - Live Sicilia

Mi sono vaccinato, ma non è stato un privilegio

Quando sono uscito da “Villa delle Ginestre” pensavo a chi, accanto alla parola “vaccino”, affianca la parola “no”.
GAROFALO ALL'OCCHIELLO
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Mi sono vaccinato.

Lo dico senza proclamarlo, ma con un sorriso, con una gioia fresca e semplice. A beneficio di chi mi vuol bene, preciso subito di non aver notato la crescita di terze braccia, o di proboscidi, o la comparsa di inedite colorazioni della pelle; aggiungo anche che i miei gusti sessuali sono rimasti quelli miei tradizionali, ai quali sono profondamente ed affettivamente legato. E certo non poteva iniziare meglio, per me, un anno che non ci metterà molto ad essere più luminoso del precedente.

È stata data precedenza alla mia categoria, quella degli operatori sanitari, ma non c’è nessuna connotazione di privilegio in questa decisione. È stato scelto di salvaguardare, preliminarmente, coloro che a vario titolo si troveranno a dover aiutare tutti gli altri. Dunque, ‘privilegio’, uguale ‘impegno’; è una regola matematica. Come in aereo, con quelle scritte davanti al proprio sedile che prescrivono, nel caso in cui si dovesse avere un bambino accanto, di provvedere a mettere in sicurezza sé stessi, prima del bambino, perché la salvezza del più piccolo non può prescindere da quella dell’adulto che lo accudisce.

A “Villa delle Ginestre” l’organizzazione, va precisato, non è ancora delle migliori. Ma un minimo di disordine iniziale è più che comprensibile; in fondo si è appena messa in moto una macchina che dovrà assicurare un’operazione di portata epocale. Confidiamo nel perfezionamento di un ‘work in progress’ che vede la partecipazione generosa di un sacco di persone, per fortuna. Ieri, infatti, c’è voluta un’attesa non breve perché mi ritrovassi nelle mani di una giovanissima collega, Simona, che con la gentilezza di un angelo mi ha accompagnato, prima a registrare i miei dati presso un banchetto, poi direttamente nella poltrona del misfatto, dove lei stessa si è prodigata nella terribile operazione di pungermi il braccio. È stato un tutt’uno: pensare di non aver sentito nulla, proprio nulla, e dire a me stesso quanto sia bello quando un medico si occupa di te in modo così accogliente, senza mai cancellare il sorriso degli occhi, non potendo mostrare quello, solo intuibile, dell’intero viso.

Quando sono uscito da “Villa delle Ginestre” pensavo a chi, accanto alla parola “vaccino”, affianca la parola “no”. A coloro che rifiutano con determinazione l’idea, prima di tutto, rinunciando ad un beneficio per sé e – sia inciso sulla pietra – per chi lo circonda e per l’intera società. Questi avranno rispettata la loro posizione, in nome della libertà, ma sarà bene che non confondano ‘obiezione di coscienza’ con ‘negazione della scienza’. La coscienza chiede di armonizzarsi con la scienza, infatti; non di rinnegarla: rinnegherebbe sé stessa. Ognuno è libero di negare qualunque evidenza, persino matematica, ma solo fino a quando la negazione non inciderà sul rispetto delle altrui vite; è bene che se lo ricordino loro, è bene che ce lo ricordiamo tutti.

Ma pensavo anche all’altra categoria dei “no” al vaccino: quelli che, pur volendolo, non potranno più; quelli che hanno pagato caro il guaio di ritrovarsi in un tempo sbagliato a lavorare in corsia; contagiati, ammalati, infine deceduti. Ieri ci siamo ritrovati in tanti, tutti medici, tutti noti, tutti amici. In fondo, è stato uno dei nostri periodici rendez-vous, come ai congressi e ai corsi di perfezionamento; questa volta in fila, con mascherine e distanze di sicurezza. Ma tutti pensavamo, senza dircelo perché non ce n’era bisogno, a chi di noi non c’è più, mortificato nell’intento di salvare gli altri. Tanti, tantissimi; troppi. E c’è chi parla di eroismo, chi di martirio. Gli eroi del quotidiano diventano tali senza volerlo, ma vanno impressi nella memoria e nel cuore di chi resta con determinazione e con impegno; è un onore per noi, ma anche un dovere.

È a costoro che, insieme agli altri, ho dedicato, sinceramente, il mio piccolo gesto; alle loro piaghe al volto per le mascherine, al loro accasciarsi agli angoli delle corsie, al loro sacrificio. È a costoro che ho pensato, quando consideravo di appartenere ad una generazione fortunata, con la sorte di osservare e praticare con meraviglia e riconoscenza una medicina che oggi, solo oggi, consente a tanta gente di poter sopravvivere a malattie terribili. Il privilegio della somministrazione precoce del vaccino non è più tale, se si pensa al dovere di salvare tutti gli altri; ma diventa anche una promessa da rispettare al meglio, nel ricordo commosso di chi non c’è più. È questo è valido non soltanto per gli operatori sanitari, ma per tutti.

‘Privilegio’, uguale ‘impegno’; la matematica non è un’opinione. Ma c’è qualcuno che pensa ancora che non sia così; spero che comprenda presto di essere in errore.

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