PALERMO- Questo non è un racconto di rabbia, né un grido scomposto. E’ dolore, soltanto dolore. E’ la storia di Carla e di chi l’ha amata.
“Mamma si chiamava Carolina, tutti la chiamavano Carla. E’ stata una maestra alle elementari. Teneva molto ai suoi piccoli alunni e loro tenevano molto a lei. La sua vita è trascorsa nel rispetto degli altri, nell’amore per il prossimo”.
Possiamo immaginarla, Carolina detta Carla. Un’esistenza quieta, come si fabbricavano una volta. Stipendio fisso. Tempo per la famiglia, per i figli. Balconi al sole dell’estate con le piante grasse. Grandi pranzi familiari, la domenica. Una cabina in riva al mare. Il caffellatte la mattina. Le preghiere e un sereno chiudersi di palpebre la sera. Naturalmente dopo le preghiere.
Il racconto prosegue: “Mamma era già da un po’ che stava male, con i suoi alti e bassi, come è normale che sia. Una settimana fa si è aggravata e l’abbiamo portata all’ospedale ‘Ingrassia’. Possiamo dire di avere avuto una buona assistenza, contrariamente a quanto si legge sui giornali della nostra sanità. Al pronto soccorso l’hanno ricevuta in cinque minuti. I medici sono stati solerti, competenti e umani. Anche al reparto: non possiamo lamentarci. Hanno tentato di tutto. Ma io sapevo che le cose si mettevano male. Mamma aveva un volto sofferente. Vuoi che un figlio non sappia tutto di sua madre? Alla sei della mattina di domenica, mamma è morta. L’hanno messa in una tenda nella pineta”.
E qui siamo nell’epicentro di un caso celebre e fresco, narrato dai giornali. Tra vicenda, repliche, scuse e promesse: non accadrà mai più, si è ricostruita l’epopea di una tensostruttura sistemata, tra i viali dell”Ingrassia’ per ospitare temporaneamente le salme, mentre vanno avanti i lavori in corso della camera mortuaria titolare. Ma è domenica. Il trasferimento a un’altra camera mortuaria, grazie al carro funebre comunale – secondo la cronaca fin qui disponibile – è assicurato da lunedì a venerdì. Ecco che tutti i lacci, per carità legittimi, e tutte le necessità, per carità necessarie, dell’amministrazione e della burocrazia si annodano più strettamente. E in mezzo ci sono le persone. Ma questa non è una denuncia. Queste sono lacrime.
Il racconto va avanti: “Siamo nella pineta, entriamo in questa tenda. C’è pure un altro morto, con un’altra famiglia addolorata. Ci guardiamo in faccia un po’ stupiti. Sembra una sistemazione per terremotati. Intorno ci sono cani randagi che per fortuna non danno fastidio. Noi continuiamo a guardarci in faccia, sempre più stupiti, con questi compagni involontari di lutto. Sono persone garbate. Ci si fa coraggio a vicenda. Le ore sono interminabili, non trascorrono mai. Finalmente è lunedì. Mamma può essere trasportata nella camera mortuaria dell’Asp in via La Loggia. Le abbiamo detto addio con i funerali. Ora, riposa nella sua Cefala Diana. Io voglio solo dire questo. Sei lì che saluti tua madre per sempre e hai voglia di piangere e basta. Sei lì che hai voglia di ricordare e di dirle grazie per come lei ti ha cresciuto, negli infiniti momenti che affiorano alla mente. E invece devi stare in una tenda, come un terremotato, come un profugo a combattere con i cavilli”.
Questa è la storia raccontata da Antonio Lopriore. La trama di un giorno ‘da cani’, nel senso dei randagi in muta e dolente veglia. Antonio, via Whatsapp, manda le foto della tenda e un’immagine di sua madre: “Voglio che, attraverso il suo volto dolce, tu percepisca l’infinito amore che mamma ci ha dato”. In effetti, verrebbe voglia di stringerla fra le braccia. Riposa in pace, maestra Carla.