ROMA – Il ricorso alla Consulta predisposto dall’Avvocatura dello Stato per conto del Capo dello Stato contro la Procura di Palermo si fonda “su un duplice equivoco: da un lato l’Avvocatura generale estende l’irresponsabilità del Capo dello Stato fino a farla coincidere con una sua pretesa inviolabilità; dall’altro confonde la disciplina della (ir)responsabilità del Presidente della Repubblica” con quella “delle garanzie del Capo dello Stato di fronte al compimento di atti e operazioni processuali relative a un terzo soggetto, nelle quali egli sia accidentalmente coinvolto”. Lo si legge nella memoria informativa depositata dalla Procura di Palermo alla Consulta.
Il documento riguarda il conflitto tra poteri dello Stato sollevato dal Quirinale in merito alla vicenda delle intercettazioni indirette e in 28 pagine punta a dimostrare l’infondatezza del ricorso predisposto dall’Avvocatura dello Stato per conto del Colle.
Tra gli atti depositati in Consulta a sostengo dell’infondatezza del ricorso anche un passaggio sule intercettazioni: il ricorso dall’Avvocatura dello Stato contro la Procura di Palermo è rivolto “non già nei confronti dell’autorità giudiziaria giudicante, alla quale per esplicita ammissione della stessa Avvocatura ricorrente spetta in via esclusiva il potere di disporre in ipotesi la distruzione di intercettazioni”, ma alla Procura “che di quel potere – per espresso riconoscimento dell’Avvocatura ricorrente – non dispone”.
Secondo la Procura di Palermo, inoltre, il ricorso dell’Avvocatura dello
Stato prefigura “una vera e propria ‘innovazione normativa’ dell’art.271 cpp” in materia di distruzione di intercettazioni, configurando nelle conclusioni una disciplina “che sostituirebbe il pm al giudice ed eliminerebbe il previo contraddittorio tra le parti”. Aspetto quest’ultimo “ritenuto doveroso” sia dalla
Consulta che dalla Cassazione. Nel documento, quindi, si sottolinea che non c’é stata “menomazione delle attribuzioni” del Capo dello Stato.