La vicenda dei rom, dell’aggressione, del senso di intima violazione patito da una quindicenne, della rabbia naturale di sua madre, sfogata con una corposa lettera, è materiale esplosivo che va maneggiato con estrema cautela e razionalità. Nello stesso ribollente calderone, convergono sentimenti e demoni. Ci sono la normale paura, la legittima richiesta di protezione, l’individuazione di un problema sociale irrisolto. Ma accanto a questioni che possono stare sotto il cielo di un normale dibattito, esistono impulsi che vanno accuratamente scartati: il pregiudizio, il razzismo, la tentazione di fare di tutta l’erba un fascio, mischiando delinquenti e onesti e identificandoli con una specifica etnia. Va da sé che le popolazioni non sono né buone, né cattive. Che tra i rom del campo della Favorita esistono briganti e galantuomini (e il sottoscritto ha avuto modo di apprezzare il valore e il senso dell’onore dei secondi, in anni di reciproche frequentazioni). Noi, semplicemente, avvertiamo il bisogno di avviare una riflessione concreta (e proponiamo ai nostri lettori un sondaggio), che tenga presente i dati di fatto, senza cadere nelle trappole del sociologismo e della retorica. E i dati di fatto sono questi: un campo rom strutturato come quello della Favorita, a Palermo, sfugge facilmente al controllo ed è pacifico che lì dentro trovino riparo “invisibili” che desiderano restare tali. Un campo di baracche non è accoglienza, né rappresenta un baluardo di solidarietà. Somiglia al gesto distratto di chi mettere la polvere sotto il tappeto, in spregio di ogni diritto, a cominciare da quello degli occupanti. Non esiste un nesso logico tra rom e delinquenza comune, lo ripetiamo. E’ pur vero che molti piccoli rom mendicano, sotto la minaccia della costrizione, che alcuni vengono inviati in spedizioni poco commendevoli e che i bambini vivono e crescono in condizioni non umanamente apprezzabili. E’ possibile dimenticare retorica e razzismo per trovare una soluzione per tutti, lontana dal silenzio e dal pregiudizio?
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