PALERMO – La confessione di Vito Nicastri rischia di provocare un terremoto. Il “re del vento” in affari con la mafia nei primi verbali da dichiarante ha innanzitutto chiamato in causa Giacomo Causarano, funzionario dell’Assessorato regionale all’Energia che da stamani si trova ai domiciliari. Non si tratta del solo nome fatto da Nicastri. Non a caso il giudice per le indagini preliminari Guglielmo Nicastro parla di “altri pubblici ufficiali in corso di identificazione”.
Il sistema delle mazzette organizzato da Paolo Arata e Vito Nicastri sarebbe molto più articolato. Su Causarano si erano già concentrate le indagini della Dia di Trapani a partire dall’intercettazione del maggio 2018 fra Paolo Arata e il figlio Francesco: “… lui è uno che porta le cose al compimento… è l’olio degli ingranaggi Giacomino”.
E così il primo verbale di Nicastri, reso il 13 giugno scorso al procuratore aggiunto Paolo Guido e al sostituto Gianluca De Leo, è partito proprio dal funzionario. Era lui il trait d’union con Alberto Tinnirello, il burocrate finito agli arresti insieme a Nicastri e Arata, considerato il cavallo di Troia per gli affari sporchi alla Regione. “Ogni volta che necessitavo di parlare con Tinnirello Alberto, responsabile dell’ufficio III dell’Assessorato e colui il quale avrebbe dovuto firmare l’autorizzazione, mi rivolgevo al funzionario responsabile del procedimento, Causarano Giacomo”, mette a verbale Nicastri.
L’imprenditore trapanese, una volta finito nei guai giudiziari a partire dal 2010, avrebbe evitato di farsi vivo in Assessorato. Incontrava Causarano nelle sue aziende oppure in un distributore di benzina a Partinico: “Ho consegnato a Causarano personalmente nei miei uffici 100 mila euro in tranches da 10/12 mila euro, denaro che secondo quanto riferitomi da Causarano avrebbe dovuto consegnare a Tinnirello”.
Ed ancora: “Il denaro era a me fornito da Isca Francesco, in banconote da 50 e 100 euro. Ricordo che Isca portò in alcune occasioni banconote da 500 euro ma Causarano ci disse che non erano gradite da Tinnirello e dunque fu ridotta la pezzatura”. Francesco Isca è un imprenditore indagato per mafia. I centomila euro erano solo la prima parte di una maxi tangente da 500 mila euro. Un costo da sostenere pur di ottenere le autorizzazione all’apertura di impianti per la produzione di energia che avrebbero fruttato a Nicastri fra i 10 e i 15 milioni di euro.
Tinnirello aveva il compito di velocizzare il rilascio delle concessioni: “Avevamo riscontro tangibile della piena disponibilità del Tinnirello e della funzione sollecitatrice che aveva il versamento di denaro – racconta Nicastri – per la terza e ultima istanza gli uffici si mossero addirittura in un giorno”. Nicastri riferisce di avere avuto ricevuto da Causarano una bozza della concessione dell’impianto di Calatafimi. Ed in effetti gli agenti della Dia durante una perquisizione nell’ufficio di Causarano hanno trovato la bozza senza data e numero di protocollo ma con la firma dell'”Ing. Alberto Tinnirello”. Nicastri è attendibile.