"Noi e Lorenzo ucciso in battaglia" | I siciliani che lottano con i curdi - Live Sicilia

“Noi e Lorenzo ucciso in battaglia” | I siciliani che lottano con i curdi

Mohammed Öcalan e Renato Franzitta

Le storie di chi è andato a combattere e di chi ha osservato, da vicino, un teatro di guerra.

Il racconto
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5 min di lettura

PALERMO – “Lorenzo Orsetti non era pazzo e non era un eroe. Era uno come noi, spinto da un bisogno intrinseco di fermare la barbarie”. Renato Franzitta, palermitano di 65 anni, sa di cosa sta parlando quando nomina il 33enne toscano morto combattendo l’Isis al fianco dei curdi.

Franzitta c’è stato, in Kurdistan, il cui nome si traduce “Paese dei curdi” ma che di un Paese canonico non ha nessun tratto, e ha visto coi suoi occhi le conseguenze della guerra sulle persone e sulle cose. Lo ha fatto nel marzo 2015, come membro del comitato “Palermo solidale con il popolo curdo” della Rete Kurdistan Italia, in una delegazione ufficiale di cui facevano parte anche altri quattro palermitani e un trapanese. Una “resistenza” siciliana a sostegno di un popolo millenario del quale si ha sempre l’impressione di sapere troppo poco, in un Medio Oriente flagellato da conflitti interni e terrorismo.

“Nel 2015 in Turchia l’Hdp, partito turco ad alta inferenza curda, ha ottenuto il 15% a furor di popolo – racconta Franzitta –. Per capirci, per provare a fermarli il capo di Stato turco Erdogan ha stabilito che lo sbarramento fosse al 10%. Da quelle elezioni scaturì un parlamento non governabile, per cui vennero riproposte, e i curdi riuscirono ugualmente a sedere dove gli spettava di diritto. Ora però i maggiori esponenti dell’Hdp sono quasi tutti in galera con l’accusa di essere in combutta col Pkk, Partito dei lavoratori del Kurdistan che è inserito in una lista di organizzazioni terroristiche”.

In prigione è anche Abdullah Öcalan, leader del Pkk, in assoluto isolamento da vent’anni a febbraio scorso, quando al fratello Mohammed (in foto con Franzitta) è stato concesso di visitarlo. “Alcuni personaggi considerati terroristi in Turchia, qui li consideriamo la ‘fanteria’ del blocco anti islamista”, dice Franzitta. “A Palermo – continua – abbiamo un rapporto stretto con l’Uiki (Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia, ndr) perché il nostro comitato è il fautore del conferimento della cittadinanza palermitana a Öcalan, nel 2015, da parte del Comune di Palermo. Siamo stati i primi al mondo. L’Italia è considerata dai curdi un Paese amico che comprende la loro causa”.

Dal 2014 a oggi, in Siria del Nord hanno perso la vita circa 10 mila combattenti, di cui alcune centinaia erano stranieri. “Sono andato a Kobane in pieno assedio, nel marzo del 2015, e sono stato in un mausoleo in onore dei caduti – ricorda Franzitta –. Alle pareti erano appesi ritratti da tutto il mondo, quasi tutti di giovani”. E chi sceglie di non combattere va a fare l’osservatore, che Franzitta definisce “un compito comunque rischiosissimo. Durante la nostra visita siamo stati per molto tempo nella città turca di Şanlıurfa – racconta – e spesso sventolavano bandiere dell’Isis fuori dal nostro alloggio. Una volta, nonostante i permessi per andare a Kobane a portare aiuti umanitari, siamo stati bloccati dai mezzi blindati dell’esercito turco e ci sono state puntate le mitragliatrici in faccia. Non posso dimenticare quella che toccava proprio la mia faccia. La volta dopo invece sono passati ai carri armati. Non siamo mai riusciti ad entrare a Kobane, sebbene abbiamo ricevuto anche proposte di passaggio clandestino, rifiutate. Ci dicevano ‘sappiamo come e quando entrate ma non sappiamo niente dell’uscita, se ce ne sarà una’”.

“Quando si parte per una missione non c’è la garanzia di tornare”, dice Franzitta ripensando alla propria. Gli osservatori sono le persone più insospettabili: tra i siciliani c’erano un fotografo, un assistente sociale, lo stesso Franzitta è un professore di matematica. “Ed è anche normale che sia così – spiega – dato che Kobane ha resistito all’Isis con un ‘blocco’ di coraggiosi dai 16 ai 60 anni, cacciandolo sconfiggendolo e praticamente cancellandolo dalla Siria. In questa resistenza è morto Lorenzo Orsetti e sono coinvolti il torinese Davide Grasso, partito dopo gli attacchi di Charlie Hebdo, e il nostro Paolo ‘Pachino’ Andolina, soprannominato così perché è originario del paese nel Siracusano. Sono andati a combattere non presi dal fanatismo ma pieni di umanità e paura, con l’intenzione di fermare la barbarie insieme a chi spera in un mondo diverso”.

Su quale sia la più grande soddisfazione provata a contatto coi curdi, Renato Franzitta ha pochi dubbi: “Vedere l’orgoglio di questa gente. Rendo l’idea: abbiamo visitato i campi degli Yezidi, che professano la religione dello Zoroastrismo, un popolo che ha un passato recente terribile. Le loro donne e bambini sono stati venduti a migliaia, e i bambini indottrinati all’Isis. Il Pkk con soli 30 militanti ne ha salvato un villaggio, portandoli dall’Iraq alla Turchia nei municipi governati dai curdi, e non si sono mai persi d’animo durante la fuga e la successiva riorganizzazione. Uno di loro mi ha raccontato scene quasi uscite fuori dall’Eneide, di lui, giovane e forte, che fuggiva col papà anziano sulle proprie spalle. Erano 5 mila persone, tutte in una tendopoli, e non li aiutava nessuno: né l’Unicef, né l’Onu, né i governi”.

Franzitta ha vissuto l’esperienza curda come una scoperta, e insieme al comitato cerca incessantemente di portarne un pezzo ai concittadini palermitani: “I curdi sono un popolo molto colto, aperto mentalmente e molto rispettoso delle donne. Ma soprattutto non vogliono uno Stato, questa convinzione è falsa. Vivono tra Turchia, Iraq, Siria e Iran, perciò sanno perfettamente che fare uno Stato in quelle circostanze è impensabile, anche perché in quel territorio ovviamente vivono altri popoli”.

Cosa vogliono davvero i curdi? “L’autonomia”, dice Franzitta.“Poter essere chi sono, circolare liberamente, o parlare e scrivere in curdo che oggi è vietato. Il portare avanti l’idea di uno Stato laico, multietnico, multireligioso, con parità di genere, nel mondo in cui viviamo oggi è quasi disarticolante. I curdi stanno costruendo un ‘confederalismo democratico’, così lo chiamano, dove ognuno è quel che è, e dove ci si governa per quel che si è”.


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