CATANIA – Licenziato perché sieropositivo e reintegrato dopo ordinanza, a dodici anni di distanza arriva anche il risarcimento del danno.
Il concorso e la malattia
È una storia a lieto fine quella di Giancarlo (nome di fantasia), tenace lavoratore che, da settembre di quest’anno, può sorridere due volte: la vicenda che lo ha visto protagonista nel 2012, quando non fu assunto sebbene vincitore di concorso, perché positivo all’Hiv, per poi essere riassunto dopo la causa portata avanti dai legali, Valentina Riolo e Michele Giorgianni, si conclude nel migliore dei modi.
A settembre, infatti, è arrivata la sentenza della Corte d’Appello che ha riconosciuto il danno psicologico patito dall’allora 37enne. Che per mesi ha sofferto la discriminazione subita proprio da quel mondo, quello della Sanità, che più di tutti conosce quanto il virus non sia invalidante ai fini del lavoro e come un sieropositivo non rappresenti in nessun modo pericolo per la collettività. Come oltre tutto stabilito dalla legge, la 135 del 1990.
Il riconoscimento della sofferenza
“È una vittoria non solo mia – afferma Giancarlo. Mi fa sentire meglio come persona, ma spero soprattutto che sia utile anche ad altri. Anche perché credo che non sia il primo caso di discriminazione accaduto qui a Catania: frequento la LILA e ultimamente abbiamo trattato casi di questo tipo. Purtroppo in tanti ancora preferiscono rimanere in silenzio”.
E subire la violazione di un diritto che, oltre a violare la legge, provoca sofferenza, come stabilito da giudice.
“Avrei potuto tacere anche io, trovarmi un altro lavoro e andare avanti – continua Giancarlo. E invece, dopo 12 anni, sono qui perché so che c’è tanta gente che ha bisogno, che si nasconde dietro un telefono o un monitor, ma che chiede aiuto. E che, soprattutto, soffre”.
L’amarezza
Giancarlo ripercorre quel momento di dodici anni fa, la gioia per il concorso vinto e l’amarezza per la mancata assunzione. Ma una cosa più di tutte lo lascia senza parole.
“C’era una dottoressa che non mi strinse la mano perché potevo essere un pericolo per la salute – racconta. Questo stigma non dovrebbe esserci, meno che mai da parte di operatori sanitari da cui non te lo aspetti. Magari da chi non ha gli studi specifici sì, da chi vive ancora negli anni Ottanta. Ma da un medico no. Quella mancata stretta di mano, che all’epoca mi fece crollare, è ancora impressa nella mia mente”.
La perseveranza dei legali
Mesi di sofferenza, di isolamento per Giancarlo, fino alla scelta di non tacere, andare avanti e lottare per sé stesso e per chi si fosse trovato nella stessa situazione. Un impeto civile condiviso dai legali.
“Il primo ricorso era inevitabile – spiega l’avvocato Michele Giorgianni che ha assistito l’operatore sanitario anche in questa seconda fase. Di fronte alla mancata assunzione, dopo che Giancarlo si era licenziato in Lombardia, aveva vinto il concorso ed era rientrato a Catania, con la collega Valentina Riolo non potevamo fare altro che andare di fronte al giudice. Nel secondo caso, abbiamo riflettuto molto se andare avanti con la richiesta dei danni – prosegue – anche perché l’esito non era affatto scontato. Ma abbiamo deciso che era giusto ricorrere alla Corte di Appello per una questione di coraggio civile. Sono convinto che, al di là della sentenza, quanto accaduto sia d’aiuto per tutti quelli che subiscono discriminazioni di questo tipo”.
Una storia a lieto fine
Nella storia di Giancarlo l’evidenza di quanto la negazione di un diritto possa andare ben oltre perdite materiali, il lavoro o lo stipendio, trasformandosi in un peso psicologico, in un carico di insicurezze e paure dagli esiti talvolta tragici. Per questo, quanto stabilito dal giudice ha il sapore di un passo avanti per l’intero Paese.
“Un pezzo di Italia si ricorda bene quando l’Aids era considerata la peste e i sieropositivi persone malate da allontanare – continua Giorgianni. C’era molta disinformazione, nonostante si dicesse come si trasmetteva. Oggi le cose sono diverse, ma chi è sieropositivo vive un paradosso: quello di essere visti dalla società persone inattive e inabili ma essere considerati perfettamente abili nel lavoro dallo Stato e dall’ordinamento giuridico italiano. Ovviamente, con le esenzioni del caso, come per i diabetici o i cardiopatici, ma nessuna senza alcuna pensione o indennità specifica”.
Oggi Giancarlo sta bene. Lavora nella stessa struttura nella quale è stato reintegrato. “E non mando malattia da anni – afferma orgoglioso. Non soffro più, grazie agli amici e alle persone come l’avvocato Giorgianni, che mi sono stati accanto”.
Quanto alla dottoressa che non gli strinse la mano. “Non l’ho più incontrata – dice – ma ho incontrato altri medici e dirigenti che hanno saputo di me, che mi stimano, mi abbracciano, e rispettano me e il mio lavoro”.