PALERMO – Quando il latitante Gianni Nicchi fu arrestato, il 5 dicembre del 2009, nell’appartamento in cui si nascondeva a Palermo, furono trovati una patente e una carta di identità falsi, che sotto la fotografia del mafioso riportavano le generalità di un poliziotto, e un certificato con lo stato di famiglia del padre dell’agente. Da questi documenti, gli inquirenti risalirono ad Anna Pensabene, 37 anni. Era stata lei a richiedere lo stato di famiglia presso l’ufficio del Comune. Da qui l’accusa di aver falsificato i documenti del giovane boss. Questa mattina la donna, assistita dall’avvocato Filippo De Luca, è stata assolta dall’accusa di falso, ricettazione e favoreggiamento aggravato. L’accusa aveva chiesto la condanna a tre anni e mezzo con la riduzione per il rito abbreviato.
Per il gup Guglielmo Nicastro, che ha anche disposto la distruzione dei documenti, non c’è prova che sia stata la donna, già condannata in altri processi per falso, a “confezionare” carta d’identità e patente. La donna, interrogata dal pm, spiegò che a chiederle di ritirare lo stato di famiglia del padre del poliziotto a ottobre 2008 era stato un imbianchino, poi deceduto nel 2011, che voleva organizzare una truffa. In effetti, come poi riscontrarono gli inquirenti, il padre dell’agente a febbraio del 2009 sporse una denuncia contro ignoti dopo essersi accorto di una trattenuta della cessione del quinto dello stipendio