Nell’eterna e spesso infruttuosa battaglia contro i costi della politica, il governo regionale alla fine dell’anno aveva annunciato: “Taglieremo gli enti inutili”. Un annuncio, a dire il vero, che si ripete spesso, a prescindere dai colori delle giunte e dagli assessori in carica.
Anche quest’anno, come detto, stessa scena. In occasione dell’approvazione in giunta di governo della bozza di bilancio e Finanziaria, l’esecutivo aveva annunciato la soppressione di alcuni enti come l’Aran, gli Istituti autonomi delle case popolari, i consorzi di ripopolamento ittico, l’Ente di sviluppo agricolo.
E invece, una volta calato il polverone che ha accompagnato la faticosa costruzione dei documenti contabili, si scopre che quegli enti sono tutti lì. Tutti in piedi. Immortali. E la storia di questi enti è raccontata in un’ampia inchiesta sul mensile “S” in edicola da sabato.
C’è persino l’Arsea, in questo gruppone di “invincibili”: un’agenzia che dovrebbe occuparsi di erogazioni per l’agricoltura, ma finito nell’occhio del ciclone alla fine della scorsa estate, perché, nonostante uno stanziamento in bilancio di 800 mila euro per il 2010 e altrettanti per il 2011, non ha mai funzionato. Ma la Regione, dopo aver sollevato il vecchio direttore generale (Ugo Maltese), facendo intuire anche la volontà di sopprimere l’ente, ne ha nominato un altro: Carlo Raciti, un fedelissimo del presidente Lombardo.
Anche l’Aran Sicilia era stata compresa tra gli enti da sopprimere. L’agenzia che si occupa del rinnovo dei contratti dei dipendenti regionali, capace di sottoscrivere l’ultimo contratto nel 2007, invece è stata mantenuta in vita, sebbene, di fatto, commissariata. Costerà 300 mila euro l’anno (a fronte degli 800 mila spesi fino a oggi). Al vertice dell’Aran è stato nominato Claudio Alongi, marito del capo di gabinetto di Lombardo, Patrizia Monterosso.
E rimangono in piedi anche l’Ente di sviluppo agricolo (Esa), considerato un classico esempio di carrozzone improduttivo, gli Istituti autonomi delle case popolari (quasi tutti commissariati, e con spesso a capo uomini vicini alla maggioranza di governo), i consorzi di ripopolamento ittico (sebbene ridotti da 11 a 4). Tutti enti considerati dai governi e dai deputati, come “inutili” o non essenziali. Che costano, però, 50 milioni di euro l’anno alle casse pubbliche. Un bel lusso. Specie di questi tempi.