Palermo, "cartella falsificata": ginecologhe e infermiera assolte - Live Sicilia

Palermo, “cartella falsificata”: ginecologhe e infermiera assolte

Una storia giudiziaria iniziata nel 2010 con la morte di un bimbo

PALERMO – Dieci anni di indagini, quattro richieste di archiviazione, due anni di processo e ora l’assoluzione.

Secondo il Tribunale presieduto da Giovanni La Terra, il fatto non costituisce reato.

Il “fatto” era la presunta falsificazione della cartella sanitaria dopo la morte di un neonato alla clinica Candela.

Non regge l’accusa nei confronti delle ginecologhe Alessandra Cerrito e Carmelina Simonaro, e dell’infermiera Giovanna Pollara. Erano difese dagli avvocati Sergio e Chiara Monaco, e Salvatore Forello.

In occasione del rinvio a giudizio per la prima volta il giudice aveva individuato come responsabili civili la casa di cura (assistita dall’avvocato Mario Monaco) e l’assessorato regionale alla Sanità (la clinica è convenzionata con il servizio sanitario) che però alla luce dell’assoluzione non devono risarcire alcun danno.

Dopo che per quattro volte i pubblici ministeri chiesero di chiudere il caso la Procura generale decise di avocare a se il fascicolo.

Il 26 settembre del 2010 una donna partorì un bimbo senza vita. Era il suo primo figlio. Assieme al marito presentarono una denuncia. Ritenevano che praticando il parto cesareo il piccolo si sarebbe potuto salvare.

La Procura aveva aperto un’inchiesta per omicidio colposo e disposto il sequestro della cartella clinica. Il documento era in formato digitale agli inquirenti fu fornita una copia stampata. Ed ecco l’accusa: la cartella clinica sarebbe stata modificata dopo il sequestro.
Da qui l’ipotesi di falso in atto pubblico che restò in piedi dopo l’archiviazione per omicidio colposo: il comportamento dei sanitari era stato corretto.

Gli avvocati delle ginecologhe e dell’infermiera hanno sempre sostenuto che la cartella era stata sequestrata il 26 settembre del 2010, ma la madre del bambino era rimasta in ospedale per altri due giorni: era normale che fossero stati aggiunti dei dati, mai nascosti agli investigatori.

Nel 2018 la Procura generale chiese il rinvio a giudizio, deciso nel 2021. Ora l’assoluzione piena.


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