Palermo era il luogo dove si prendevano le decisioni e si gestivano gli affari dell’università Jean Monnet. Dunque è in Italia che il professore Salvatore Messina avrebbe dovuto pagare le tasse – Iva e Ires – nonostante formalmente tutto facesse capo a una fondazione estera.
La certezza degli investigatori passa anche e soprattutto dai documenti che i finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria hanno trovato nella sede del dipartimento in via XII Gennaio 1G, negli uffici di via Umberto Giordano 67, e a casa dei Messina, nel super attico in via Giuseppe Sciuti che da ieri, giovedì 12 dicembre, è sotto sequestro per decisione del giudice per le indagini preliminari.
La Procura di Palermo ha chiesto e ottenuto un provvedimento urgente per bloccare 3,5 milioni di euro. A tanto ammonterebbero le tasse non pagate.
Tra i documenti sequestrati ci sono anche 94 convenzioni con strutture pubbliche e private italiane, di cui 70 in Sicilia. Sono soprattutto ospedali, Asp e cliniche dove gli studenti hanno svolto tirocini e stage. Nessuno si sera accorto che i titoli di studio rilasciati dal dipartimento Jean Monnet non avessero alcun valore in Italia.
Salvatore Messina avrebbe dato vita a quella che viene definita una “esterovestizione” del Dipartimento di studi all’interno di una fondazione di diritto creato. Non avrebbe fatto tutto da solo. Fra gli indagati figurano due donne: Leopoldina Frigula, presidente della Fondazione con sede in Croazia, la Zaklada Europa, e Maria Alexandra Stefana Mladoveanu Ghitescu, membro del consiglio di amministrazione della Fondazione e legale rappresentante della succursale di Lugano.
E poi ci sono i figli Dario e Giuliana Maria Vittoria pure loro indagati e colpiti dal sequestro. Ad un certo punto cominciarono a mostrare insofferenza per quella che la stesa figlia definiva la megalomania del padre. Il fratello ammetteva che la situazione era diventata insostenibile. Una volta tornati a Palermo volevano essere tolti da tutto.
Nei messaggi acquisiti dagli investigatori i figli protestavano come se fossero stati coinvolti contro la loro volontà nelle decisioni societarie. Erano responsabili, ma le strategie le avrebbe adottate solo ed esclusivamente il padre. A cominciare dai bonifici transitati da società ritenute di comodo in Bosnia e Regno Unito in modo che poi i soldi rientrassero in Italia.
Nel frattempo dalla sede del Dipartimento partivano le lettere per gli studenti che non avevano ancora pagato la retta da 3.500 a 26.000 euro all’anno per una laurea che in Italia non aveva alcun valore.