Palermo, la marcia nella città della droga FOTO - VIDEO

Palermo, la marcia nella città della droga FOTO-VIDEO

Un pomeriggio di protesta. E di rabbia.

Si svolta a destra, dopo la facoltà di Giurisprudenza, e si va nella città ferita dalla droga, attraversando un pomeriggio di malinconia palermitana e di caos.

Si comincia da qui, dai passi difficili di via Ponticello, dove don Enzo Volpe ha edificato una casa di accoglienza, con una suora. Eccolo, don Enzo che si è salvato dal Covid e ha ripreso a combattere. Eccolo, mentre si avvicina a pizza Casa Professa, lì dove una parte di città si sta radunando per gridare il suo no alla droga, con una voce udibile. “Cosa è cambiato con il Covid? – sorride don Enzo – ho perso trentacinque chili”. Infatti, lui che era già altissimo appare gigantesco. Per parlargli è necessario alzare la testa. Poi, don Enzo non sorride più: “Il dramma è pesantissimo. C’è chi spaccia morte e ci sono le vittime”.

Così aveva detto anche Massimo Castiglia, anima nota di ‘Sos Ballarò’, l’assemblea pubblica che ha organizzato la marcia: “Siamo oltre il limite”.

La piazza è affollata e variegata. C’è padre Gianni Notari. C’è il commissario Covid, Renato Costa. Ci sono politici di sinistra. C’è Umberto Santino. Ci sono i ragazzi dell’arci ‘Porco Rosso’ che hanno lì la loro sede. C’è Fausto Melluso che lì, con altri, sta tentando di ricucire gli strappi. Riflette ad alta voce: “Non abbiamo bisogno di più repressione, ma di servizi, di presa in carico, di ascolto”. C’è Anna Ponente che combatte, con le sue ragazze, un’altra battaglia alla Noce, con il Centro Diaconale Valdese. Vede le stesse cose, in un altro contesto. Anna è una di quelle presenze che non amano apparire, ma agire. C’è e parla, pure lei, di ‘assenza di servizi’ e scruta i luoghi con uno stato d’animo che si potrebbe definire di combattiva tristezza.

Qui c’è la città che ha dichiarato sempre di volere cambiare, nella piazza che si va riempiendo alle quattro del pomeriggio, ma che non sempre ha avuto le carte in regola. Perché ci sono quelli che resistono, lì dove è necessario farlo. Ma, a occhio, si intravvedono pure i professionisti della declamazione. Capacissimi di non azzeccarci quasi mai, mentre rinchiudono il senso di un mondo intero in una sola frase ad effetto.

E c’è l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, ‘Don Corrado’, che prende la parola in strada: “Non siamo qui per invocare repressione, ma per chiedere una comune assunzione di responsabilità. Chi spaccia è omicida, chi vende morte è mafioso e noi gridiamo, ancora una volta, il nostro no alla mafia”.

La marcia si avvia nella pancia del quartiere. I residenti osservano. Una signora, affacciata, ha gli occhi lucidi. Alcuni ragazzi ridono, fanno il verso all’impegno di chi cammina. E bisogna capirli e, forse, chiedergli scusa. Quando mai Palermo ha mantenuto le sue promesse solenni di redenzione?

Le storie si affastellano. Si racconta di una mamma che compra droga, il famigerato crack, per la figlia in astinenza. Si racconta di una ragazza che non ha niente ma che, ogni mese, consegna allo spacciatore tutta la capienza della sua tessera del reddito di cittadinanza. E non è un attacco al reddito di cittadinanza o a chi lo percepisce – nelle parole di chi racconta – soltanto la presa d’atto di uno sfascio.

Tra i presenti c’è il dottore Giampaolo Spinnato, direttore dell’unità di  Dipendenze Patologiche dell’Asp. “Bisogna riportare quello che c’è in giro, perché così, chi decide, agirà e farà qualcosa”.

Sulla via del ritorno, ancora sguardi perplessi, come da dietro una siepe. Una mamma e una figlia mangiano un piatto di pasta, sedute davanti al basso. Ci sono dei cani neri dolcissimi che cercano le carezze di tutti, sporgendosi dalle grate di un ingresso. Una fin troppo lampante metafora di Palermo e del suo desiderio di essere ascoltata. Mentre è in gabbia. (Roberto Puglisi)


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