PALERMO – Per una volta la storia viene scritta da chi perde le battaglie. Il Palermo rimedia la settima sconfitta consecutiva nonché il settimo stop su altrettante gare interne disputate. Non era mai accaduto. Un k.o. meritato, perché i rosa non fanno nulla per impensierire la Lazio, neppure quando si ritrovano in svantaggio e l’istinto suggerirebbe di rompere gli indugi per attaccare. I biancocelesti, con una condotta attenta e a tratti sorniona, ottengono il massimo risultato con il minimo sforzo. A rimanere in bilico sino al triplice fischio finale solo il punteggio, per il resto gara già chiusa dal gol di Milinkovic-Savic giunto dopo dieci minuti di forcing nella metà campo rosanero. Alla squadra di De Zerbi rimangono solo le attenuanti che vengono elencate dall’inizio della stagione e che portano dritte al cuore del problema: l’opinabile gestione societaria con annessi e connessi.
Al tecnico bresciano si possono imputare scelte che da coraggiose sono divenute azzardate, ma in ogni caso figlie della necessità di trovare un equilibrio: moduli e uomini alternati sol perché bisognava provare, tentare, cercare una soluzione in un serbatoio povero di qualità. Le disquisizioni su Posavec piuttosto che su Diamanti, Gazzi o Bruno Henrique servono a poco, il dado oramai è tratto: il Palermo non è una squadra attrezzata per disputare un campionato di Serie A. Non al momento. Non con l’incoscienza di un tecnico esordiente, non continuando a cambiare identità tattica, non con accorgimenti che finiscono per rivelarsi dei boomerang. Non senza un filo logico che dia senso a quanto si dovrebbe mettere in pratica sul terreno di gioco. Essendo il calcio una scienza inesatta, tutto potrebbe mutare in maniera repentina ma sperare di vedere la luce in fondo al tunnel in questo istante è pura utopia.
Alla squadra non fanno certo difetto doti quali volontà o abnegazione, ma queste da sole non possono bastare per accompagnare il Palermo verso il porto sicuro della riconferma tra le grandi d’Italia. Le delusioni non mancano: perché se è vero che a giovani e giovanissimi non si può chiedere la luna, dai più esperti ci si attendeva un contributo ben diverso. Diamanti non è ancora riuscito a incidere e al netto di qualche buona giocata si è sin qui rivelato un affare infruttuoso. Gonzalez continua sulla falsariga di quanto fatto vedere nella passata stagione, mentre rimane un mistero l’involuzione di Hiljemark, stella cadente giunta in Sicilia per fare la differenza e oramai finita ai margini dell’undici titolare. Ma non bastano tre nomi a giustificare un crollo verticale di un gruppo acerbo e vittima di scelte imposte. Le difficoltà hanno ben altri registi, occulti solo sino a un certo punto.